L’Artista di Strada presenta: Getulio Alviani
Scritto da BocconiADMIN il 3 Novembre 2015
In occasione di BergamoScienza, rassegna di divulgazione scientifica tenutasi a Bergamo dal 2 al 18 Ottobre scorso, “L’Artista di Strada“,(il nostro ormai rodato format di approfondimento artistico-culturale) ci offre una breve intervista a Getulio Alviani: protagonista a Bergamo con il talk “Cent’anni di inquietudine”, è uno dei massimi esponenti della corrente dell’arte processuale, basata su una continua ricerca tesa a contaminare le opere con la luce, la geometria e il movimento.
Buongiorno signor Alviani. L’arte cinetica e programmata, di cui lei è uno dei massimi esponenti, si rivela oggi uno dei movimenti d’avanguardia più importanti degli ultimi anni: i suoi esponenti avevano la consapevolezza di questo all’epoca in cui è sorta?
“Prima di tutto, non mi piace parlare di massimi esponenti o meno. Noi eravamo un gruppo coeso e in quanto tale il singolo portava avanti le idee e le motivazioni del gruppo, non c’era la presunzione di essere una parte più importante o meno.”
Ok, allora considerando che è stato un esponente dell’arte cinetica e programmata, può dirci se ci fosse a priori la consapevolezza di far parte di un movimento d’avanguardia?
“Per favore, non usi anglicismi. La lingua italiana è piena di termini che stanno scomparendo perché si usa il corrispettivo inglese. Il suo “Ok” può benissimo essere espresso con un “Va bene”…Per rispondere alla sua domanda, a priori non avevamo idea che il nostro movimento sarebbe stato famoso, importante, d’avanguardia o altro. Ci siamo riuniti per esprimere le nostre idee, quelle di tutto il gruppo da noi formato, senza intenzioni a priori. L’avanguardia non è un’intenzione, nel nostro caso un gruppo di persone si è riunito perché non era contento del filone di pensiero preponderante in quegli anni (anni ’60) e si è dedicato all’arte per esprimere questo dissenso sia sociale sia politico e fare arte confrontandosi e cercando insieme di trovare una possibile evoluzione.”
A proposito di evoluzione, in effetti l’arte cinetica si è espressa in vario modo negli anni ’60 e ’70 e si è evoluta negli anni. Secondo lei, al giorno d’oggi, l’arte contemporanea sta continuando il percorso iniziato da voi e da altri artisti di altre correnti o è in un certo senso regredita o è ferma in una posizione di stallo?
“Purtroppo devo confessare che l’arte è senza ombra di dubbio assolutamente in stallo. Se avessimo pensato che sarebbe andata a finire così quando il movimento è iniziato, saremmo rimasti orripilati. Non è solo una questione dell’arte in generale che è ferma e non si evolve perché non c’è più una ricerca verso l’ignoto, un tendere a qualcosa di non saputo. È anche e per lo più un problema delle personalità di artisti e di come l’arte viene concepita. Oggi, gli artisti sono interessati alla fama individuale, a essere più importanti gli uni degli altri, a firmare i loro lavori. Negli anni ’60 non c’era questo “io” individualista che regnava, c’era un sentore comune che ci portava ad interrogarci oltre che sull’arte, sulla politica, sulla società, sulla vita. Il singolo artista era visto come la possibilità di concretizzare e superare le idee di tutto il gruppo, perché il gruppo nel suo insieme andasse avanti nel suo processo di ricerca e di evoluzione. Se lavorando ad un’opera mi accorgevo che un mio amico- perché eravamo tutti amici, uniti da una causa comune – era più avanti nella ricerca che anche io stavo conducendo, lasciavo lì l’opera e ne iniziavo un’altra partendo dal punto in cui il mio amico era arrivato. L’idea era che ci fosse un cammino comune: se uno di noi faceva un passo avanti, gli altri ripartivano da lì. Ogni conoscenza o come la vuole chiamare finiva per così dire nel serbatoio delle conoscenze di tutto il gruppo.”
Quando dice che oggi gli artisti sono interessati al loro “io” individualista, intende forse dire che la loro presunzione prevale su una sorta di “onestà intellettuale” del fare arte?
“Intendo esattamente questo. Io a volte non firmavo nemmeno i miei lavori, oggi vale di più una firma che l’oggetto che c’è sotto. Al giorno d’oggi, un artista vuole la fama, lavora da solo e per se stesso, non c’è più quello che noi concepivamo come un cammino comune che l’arte dovesse compiere.”
Secondo lei questo atteggiamento è rivolto all’arte o denota un problema più ampio?
“Guardi, secondo me in quest’era ci sono molti problemi, economici, politici, sociali. Le persone hanno due fette di prosciutto davanti agli occhi, non si ribellano a nulla e l’arte non riesce a veicolare alcuna protesta. In un mondo così, l’idea di morire acquista quasi un aspetto positivo.”
Accidenti, non le pare di essere un po’ eccessivo? Non è poi tutto così negativo…
“Non sono affatto esagerato, anzi… Consideri tutte le regole che ci sono al giorno d’oggi. Ci dicono che per il nostro bene dobbiamo rispettare le regole, così da poter avere più libertà, ma che siano tutelate. Non sono d’accordo, non abbiamo più libertà di una volta, siamo più schiacciati da regole, norme e altro, ma non corrispondono a nuove libertà. E nonostante la gente si veda privare delle libertà e della possibilità di poter fare quello che vuole, non riesce a reagire, non si ribella. E così l’arte con lei è in stallo. Poi non parliamo dei politici, anche loro, peggio degli artisti, agiscono solo per se stessi e non aiutano la società a progredire.”
Di cosa si sta occupando adesso? Quali sono i suoi progetti futuri?
“In questi ultimi anni mi sto occupando di curare testi ed esposizioni sui migliori protagonisti di ricerche strutturali e visive internazionali. Anche qui si vede la differenza con gli artisti di oggi: mi occupo di qualcuno più bravo di me, cerco di imparare da questo, non pretendo di essere il migliore e di non aver bisogno delle lezioni di altri artisti. Direi che oggi manca proprio il concetto di umiltà. Purtroppo, però, è solo facendo un atto di umiltà che ci si rapporta a chi è migliore di noi e solo così possiamo migliorare.”