Lo chiamavano Gabriele Mainetti – day 3

Scritto da il 19 Luglio 2016

Anche il nostro terzo giorno al Giffoni film festival è volato.

Gli highlights della giornata sono sicuramente rappresentati dall’incontro con la giovane Evanna Lynch, reduce dal suo ultimo film My name is Emily, l’intervista a Lorenzo Richelmy protagonista di Marco Polo, l’incontro con Gabriele Mainetti, regista di uno degli ultimi successi cinematografici tutto italiano, Lo chiamavano Jeeg Robot.

Evanna Lynch: da Luna a vera stella
Bagno di folla oltre le aspettative e tanto clamore, questa è stata l’accoglienza riservata all’ospite più bionda del Giffoni Film Festival del 2016: Evanna Lynch!
Dolcissima e disponibile, l’attrice posa per i fotografi e per i fans, firma innumerevoli autografi, si propone per scattare i selfies e appare sorpresa e commossa di tanta euforia.

Una volta terminato il photocalls, tiene un meet the stars, in cui, per più di un’ora, si presta a rispondere esaustivamente alle numerose domande che le vengono poste dai ragazzi, sia in italiano che in inglese, sugli argomenti più disparati.

Avvolta in un morbido abito nero, Evanna Lynch trasuda magia ed eleganza, la sala rimane incantata dai suoi modi e dalla sua allure di semplicità e autoironia.

La maggior parte delle domande che le vengono poste sono incentrate sulla serie di Harry Potter, in cui interpreta la stravagante ma intelligentissima Luna Lovegood, e di cui conserva un bellissimo ricordo, essendosi sentita parte di una famiglia che, nel momento del suo ingresso – nel film Harry Potter e l’ordine della fenice- aveva già ottenuto un successo clamoroso, e di cui era una grandissima fan.
Rispondendo alla domanda di una ragazzina, scherza su di sé, affermando che in alternativa al suo ruolo le sarebbe piaciuto interpretare un elfo domestico, dalla voce assonnata come la propria, oppure la professoressa Sibilla Cooman.

L’umiltà di Evanna Lynch emerge nel momento in cui le viene chiesto il modello a cui si ispira, che lei individua in  J.K. Rowling, generosa, attiva, aperta e disponibile, nonostante sia sempre impegnata in campagne umanitarie, non timorosa di rischiare in campo artistico, ma capace di molto altro, ed è proprio questo l’aspetto a cui cerca di somigliarle, per non restare nei panni di Luna per sempre.

Il web è pieno di fan fictions incentrate sulle coppie della saga di Harry Potter, vere ed inventate, a tal proposito, Evanna risponde, nonostante la stessa J.K. Rowling abbia parlato delle immense difficoltà che la coppia Hermione-Ron avrebbe avuto con lo scorrere del tempo, di essere fiduciosa nella capacità di questa coppia di restare insieme affrontando e vincendo ogni difficoltà.
L’attrice, ridendo, ricorda anche di come lei sia stata una delle prime ad essere informata riguardo l’omosessualità di Silente, avendo chiesto all’autrice come le sembrasse la coppia Luna-Silente.

Ma il meet the stars è con Evanna Lynch, non con Luna, ed ecco il motivo della gratitudine con cui risponde alle domande che esulano dalla serie di Harry Potter, ma la riguardano in ambito personale o in ambiti lavorativi differenti: parla di quanto sia stato complesso e faticoso interpretare il ruolo dell’antagonista omofoba in GBF (Gay Best Friend) per lei che invece si ritiene a favore di qualunque forma di amore. Tuttavia è stata un’esperienza particolarmente significativa, che le ha permesso di comprendere realmente la versatilità di cui necessita un bravo attore.

Rimanendo in argomento consiglia a chiunque voglia cimentarsi nella recitazione di trovare un personaggio  davvero adatto a sé stessi, che consenta di sentirsi a proprio agio permettendo di affrontare la sfida con passione, ma anche di saper osare, lanciarsi nel vuoto e provare sempre nuove esperienze recitative.
Inoltre ricorda quanto sia importante circondarsi di persone positive che sappiano dare il proprio appoggio e non lasciarsi intimidire dalle persone ostili.

Quanto alla classica domanda sul tema del festival, circa la propria destinazione, Evanna Lynch risponde guardando il tema da due differenti prospettive.

Nel concreto parla della difficoltà della separazione fisica dalla sua terra, l’Irlanda, essendosi dovuta trasferire in America per lavoro. Questa esperienza le ha permesso di comprendere la verità che si nasconde dietro il clichè del viaggio come ritrovamento di sé.
In astratto invece ha ritenuto più difficile rispondere. Vuole continuare a recitare, esplorare le vite di altre personaggi per molti altri anni, e magari, dopo, “ritirarsi e aprire un centro per ospitare gatti” afferma con dolcezza e un velo di ironia.

Se crede nella magia? Evanna mantiene una mentalità aperta. Legge molti fantasy, come ha detto alla sua coinquilina, se il suo gatto le parlasse non rimarrebbe sorpresa ma penserebbe solo: “finalmente! Perché ci hai messo così tanto?!”
Poi c’è la magia per eccellenza: l’immaginazione, la “magia del mondo reale” che ha permesso la creazione di tanti libri, tante saghe proprio come quella di Harry Potter a cui è così legata.

 

Belli e Talentuosi pt.2: Lorenzo Richelmy

Quest’edizione del Giffoni Film Festival sembra essere stata creata per rifarsi gli occhi.
Rossana Pelusi ha avuto la possibilità di intervistare, per Radio Bocconi, il bellissimo Lorenzo Richelmy, portato in auge del ruolo di protagonista della serie tv Marco Polo, prodotta da Netflix e classificata come la terza più vista, dopo Game of Trones e Orange is the new black.
Lorenzo Richelmy parla di Netflix, considerandolo l’erede di Sky, grazie alla libertà dalle pubblicità, alla vastità di proposte, alla possibilità di gestione che consente a tutti di usufruirne, in primis, a sé stesso, che confessa infatti di essere patito di serie tv.
Il capello biondo, gli occhi azzurrissimi e l’aria da ragazzo con i piedi per terra sono i segni caratteristici di questo giovane attore, nato in Liguria, cresciuto a Roma, maturato grazie agli innumerevoli viaggi attorno al mondo, ma sempre rispettoso delle proprie origini, della famiglia che gli ha trasmesso la passione in campo teatrale, della propria personalità e di chi, prima del successo, era con lui e continua ad esserci.
Un “Marco Polo insidie”, così si autodefinisce, soffermandosi sul valore del viaggio, anche solitario, sull’enorme utilità della conoscenza, di sé e del mondo, sulla capacità di vedere ed apprezzare la bellezza.
Il tema stesso del Giffoni 2016, la destinazione, si mostra particolarmente adatta alla situazione, ma Lorenzo stupisce affermando che la destinazione più importante è la consapevolezza di sé, la voglia di mettersi in gioco, il desiderio di impegnarsi per riuscire a conoscersi.
Richelmy ha una bella visione del mondo, dichiara di non provare invidia per i propri colleghi e di non sentirsi invidiato: in campo cinematografico, ottenere un lavoro non implica rubarlo a qualcun altro, perché gli attori si scelgono perché adatti ad un determinato ruolo; si dimostra propenso al lavoro duro, allo studio delle parti, allo svisceramento dei ruoli che gli verranno assegnati.
Senza aspettative, che dichiara una trappola per l’umanità, ma con una gran voglia di fare, Lorenzo lascia la sala delle interviste solamente dopo aver risposto in modo esaustivo a tutti, mostrando la coerenza con quella che definisce la propria massima: “più fai la diva.. più sei co****ne”.

 

Lo chiamavano Gabriele Mainetti

Gabriele Mainetti è una boccata di aria fresca in un desolato panorama cinematografico che sa di stantio.

Attore, regista, compositore, produttore: Mainetti fa tutto, e lo fa bene.

Al Giffoni Film Festival 2016 discute con i ragazzi della masterclass del suo ultimo film, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, che gli ha permesso di portare a casa due David di Donatello come Miglior regista esordiente e Miglior produttore, con la sua casa di produzione, Goon Films.

 

A casa sua, sin da piccolo, “Indiana Jones, 007, Sergio Leone e Monicelli”; storie mai messe da parte veramente, ma tenute in un cassetto, nascoste ma sempre presenti, e ritrovate, da grande, nella produzione dei suoi film.

L’innovazione è nella fusione del cinema americano e italiano, una commistione di generi che risulta essere l’asso nella manica che ha permesso un tale successo.

Anche la scelta dell’uso del dialetto romano risulta una decisione ben calibrata, frutto dell’esperienza teatrale dell’uso del Cockney -dialetto di Londra- dei “giovani drammaturghi arrabbiati” inglesi. Questa esperienza gli ha permesso di capire quanto fosse necessario dare ai suoi personaggi un’identità ed è proprio per questo che, a chi ha criticato la sua scelta di una così forte regionalità, lui risponde che “Jeeg è un film in lingua originale”.
E in sala scatta l’applauso.

Sulla difficoltà di conciliare i ruoli di attore e produttore solitamente in conflitto tra loro, racconta di essersi sentito allo stesso tempo Paperino e Cip & Ciop: in un continuo loop di esaurimento nervoso causato dallo scontro fra la sua parte più pragmatica e quella più creativa.
Sicuramente è stato difficile, ma, allo stesso tempo, gli ha permesso una grande libertà di scelta.

Ringrazia per l’appoggio la RAI perché ad uno che ti dice “voglio fare un film con un supereroe di Tor Bella Monaca, con una mezza psicopatica che proietta sull’altro un mondo cartoonistico di Jeeg Robot D’acciaio, un pazzo che è il cattivo e canta un’icona Pop femminile anni ‘80” gli rispondi “C***o stai a dì?”

Tante volte avrebbe voluto far vedere ai suoi detrattori ciò che voleva realizzare, così difficile da immaginare.
In tanti hanno pensato che una storia del genere non lo avrebbe portato da nessuna parte; ma uno sviluppo magistrale della trama, tradotta in scene sempre tecnicamente perfette, ha dimostrato il contrario.

Il risultato è il successo inaspettato, ma meritatissimo, di un film che si è dimostrato un punto di svolta e di rinascita del cinema italiano, che nel 2016 può ancora dare tanto quanto negli anni d’oro di cinecittà.

Concludendo, sulla possibilità di un sequel, il giovane regista romano riporta che nulla è in cantiere, ma allo stesso tempo non esclude la possibilità che in futuro Jeeg torni sulla scena, dando un atterraggio a quel salto finale dal Colosseo, epica conclusione di un capolavoro.

 

 


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