INTERVISTA A FILIPPO D’ERASMO – 7 OTTOBRE 2021

Scritto da il 12 Ottobre 2021

Iniziamo con qualche domanda su di te: dal tuo curriculum si vede che sei molto dedicato al tuo percorso nella musica, una passione che di sicuro dura da molto tempo. Com’è stato l’appoggio della tua famiglia nel corso degli anni? Ci sono stati dei momenti in cui, se non fosse stato per loro, avresti fatto scelte diverse, o momenti in cui erano loro a cercare di farti cambiare?

“Allora, devo dire che ho fatto sempre un po’ tutto da solo. Benché da bambino comunque avessi un po’ una certa musicalità, suonavo qualunque cosa mi capitasse tra le mani, arrivarono effettivamente anche dalla famiglia le prime proposte di studiare qualche strumento. In realtà, io ai tempi non ne volevo proprio sapere, fino all’adolescenza non mi sono approcciato veramente alla musica, poi è stato un bisogno emotivo, un qualcosa di travolgente che mi ha colpito verso i sedici anni. E devo dire che sicuramente i miei genitori non mi hanno mai ostacolato, perché comunque io nel frattempo ho finito gli studi superiori, ho iniziato a fare l’università; diciamo che la musica è sempre qualcosa che ha accompagnato il mio percorso, fino a che non ho deciso di mettermi in gioco su questo fronte un pochino di più verso i venticinque anni e ho sentito forte anche l’esigenza di pubblicare quello che stavo facendo, non avevo mai messo la faccia in un progetto da solista. E quindi non c’è mai stato un ostacolo, l’approccio è sempre stato nel senso di “noi ti appoggiamo dal punto di vista psicologico, però poi te la devi cavare tu”. Vengo dalla musica indipendente, quindi anche il mio approccio deve essere indipendente, ho trovato modi per autosostenermi. Comunque mi ritengo fortunato da questo punto di vista, i miei genitori sono i miei primi fan.”

Cominciamo a parlare della tua musica: quali caratteristiche ha, secondo te, una persona in cui la tua musica può risuonare nel migliore dei modi?

“Sicuramente penso di risuonare con delle persone che siano in grado di farsi delle domande e di andare ad indagare la propria interiorità, quello che faccio io nelle canzoni molto spesso è farmi delle domande, andare a scavare, vedere cosa ne tiro fuori e, di conseguenza, penso che sia abbastanza facile risuonare con qualcuno in grado di fare la stessa cosa, qualcuno a cui è capitato di farsi delle domande riguardo varie situazioni, senza soffocarle in cose da fare, ma provando almeno a darsi delle risposte. Forse è un approccio a volte quasi filosofico alla canzone, più che musicale. Però non è detto, perché mi piace anche che ci siano più piani di interpretazione di una canzone e non è detto che quello più profondo debba essere quello a cui arrivi, ci può essere anche chi arriva ad un piano più superficiale, che può essere ad esempio la melodia, però mi piace quando si sblocca l’iniziare a notare, dal punto di vista testuale, più sfumature.”

Il tuo nuovo brano, “Quel CD dei The National”, me lo puoi raccontare in poche parole?

“Tornando a quello che stavo dicendo prima, il brano è nato da un momento un po’ altalenante dal punto di vista emotivo, in cui ho sentito il bisogno di fermarmi un attimo e farmi delle domande, di fare un resoconto dell’ultimo periodo. È stato scritto proprio la notte di capodanno, eravamo in lockdown, io avevo fatto una cena tranquilla in famiglia, poi sono tornato a casa. Non riuscivo a prendere sonno, ho preso la chitarra, un quaderno e la canzone mi è venuta giù di getto, insomma. Nasce da un dialogo con me stesso, poi sono entrati nella stesura, soprattutto del ritornello, anche altri significati, è entrata un’altra persona. Ma il brano non è rivolto ad una ipotetica figura femminile a cui sto parlando, è rivolto proprio a me stesso. Nasce da un prendere consapevolezza di certi meccanismi, per poterseli lasciare alle spalle e poi iniziare una nuova fase, un nuovo percorso.”

Hai detto che questa canzone l’hai scritta la notte di capodanno, perché ti è venuta l’ispirazione in quel momento.

“Sì, ma erano cose che erano rimaste impresse già prima dento di me, sono state tirate fuori in quel momento, ma erano già lì.”

Quindi potremmo dire che questo è un po’ il tuo processo creativo, si accumulano i pensieri e le emozioni e poi arriva il momento culmine in cui riesci a mettere giù tutto?

“Esatto, è proprio così, c’è una sorta di sedimentazione. Io non scrivo tantissimo, scrivo abbastanza poco, a dir la verità. Lascio sedimentare le cose, fino a che sento che il vaso emotivo è pieno, e allora tiro fuori. Ed è una cosa che faccio sempre di più, ultimamente cerco sempre di scrivere quando ho qualcosa da dire, non mi interessa essere iper-produttivo, o scrivere tanto, però mi interessa che quello che scrivo nasca veramente da un bisogno, da un alzare il coperchio di questo vaso.”

Tu sei Riccardo nella vita privata e come nome d’arte hai scelto Filippo D’Erasmo. Come mai nel tuo nuovo singolo, invece, ricompare il tuo nome, diciamo, “vero”?

“Premetto che io mi chiamo Riccardo e Filippo è il mio cognome, quindi in realtà nel mio nome d’arte c’è già un pezzo di quello anagrafico. Però ho inserito il mio nome nella canzone perché in questo momento credo molto nell’arte come qualcosa di sincero, non ricco di troppi orpelli, qualcosa che va proprio a raccontare certi fatti; a me viene più facile raccontare cose vissute in prima persona. Quindi, ricercando un po’ questa intimità espressiva, mi è piaciuta l’idea di parlare non all’artista, alla “maschera”, ma proprio al nucleo del mio io, per capirci. In quel momento stavo parlando a Riccardo la persona, non a Filippo D’Erasmo il musicista.”

Tu sei un artista emergente nell’era di Spotify, ti ho trovato lì anch’io. C’è una pagina con il tuo nome e sotto c’è scritto, ho controllato giusto qualche minuto fa, “195 ascoltatori mensili”, che può essere già un traguardo ma anche un punto di partenza. Per te, che cosa rappresenta questo numero?

“Per quello che riguarda la promozione di questo singolo, ho deciso di dedicarmi ad un pubblico organico al 100%, di lasciare stare tutta una serie di promozioni, ho deciso di tirare fuori il pezzo e dire “chi è interessato se lo ascolti”, non mi piace l’idea, soprattutto oggi, di gonfiare i numeri, a volte ho la percezione che gli artisti debbano imboccare le persone con la propria arte, mi piace di più che chi è interessato la trovi e comunque la vada a cercare. Ho deciso di puntare su ascolti al 100% di questo tipo. Quindi sì, sicuramente mi piacerebbe arrivare a più persone, però è un piccolo punto di partenza che, comunque, mi rende contento perché so la filosofia che c’è dietro.”

Mi sembra un punto di vista molto bello ed autentico. Lo ritrovi anche in qualche artista più famoso? C’è qualcuno a cui ti sei ispirato, che ha questa stessa tua visione, o è tutto tuo?

“Io vengo dalla musica indipendente, da quella che una volta era una musica indipendente vera, progetti che, anche se autoprodotti e autopromossi, trovavano la loro nicchia. Io credo in questa cosa del trovare la propria nicchia, senza per forza appiattire la propria proposta artistica per arrivare a più persone possibili. Viviamo in un momento storico in cui si tende a pompare i numeri sui social, su Spotify, ecc., però penso che sia una cosa che lascia un po’ il tempo che trova, preferisco arrivare a poche persone che si affezionano al progetto, piuttosto che invadere tantissime persone che magari hanno un ascolto nella mischia, è una cosa che inizia e muore lì. Mi piacciono gli artisti che parlano al proprio pubblico, senza dover per forza pretendere di arrivare a tutti.”

Per finire ti chiedo quali sarebbero i tuoi consigli per altri artisti che vogliono incominciare il loro percorso.

“Siate sinceri, fate musica sincera, parlate di cose che conoscete veramente, non di cliché, estetiche che lasciano il tempo che trovano. Fatelo slegandovi dall’aspettativa di avere successo o raggiungere risultati specifici. Godetevi il percorso perché avete deciso di intraprenderlo e perché ci si diverte mentre lo si percorre. E poi, tutti i risultati che arrivano, ben vengano. Penso che questo approccio sia una sorta di antidoto a quelle frustrazioni che possono arrivare agendo in modo diverso, soprattutto in un’epoca in cui la gente ha una soglia dell’attenzione molto bassa. Insomma, fate arte quando avete qualcosa da dire, non fatela per forza quando non avete niente da dire.”

Mattia Filippo Baglietto


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