Cronaca annunciata di un sistema inqualificabile

Scritto da il 14 Novembre 2017

Ieri sera, 13 novembre l’italia intera è andata a dormire con l’amaro in bocca e con la schiena pugnalata. Il triste epilogo della doppia sfida con la Svezia è un duro colpo da affrontare per ogni italiano consapevole che il prossimo mondiale estivo sarà nel 2026: lontanissimo, nella testa di chi scrive. Cento anni e un giorno dopo la disfatta di Caporetto, sarebbe semplicistico dare la colpa al Cadorna di turno, a Ventura.

L’eliminazione dal mondiale è il fallimento di un sistema, di una federazione, delle capillari scuole calcio italiane che durante l’infanzia hanno il compito di instillare l’amore per il gioco in tutti i ragazzini che domani potrebbero vestire la maglia azzurra.

Partendo dalla testa del serpente: Tavecchio, mai capace di essere un presidente popolare o di dare le dimissioni dopo delle sgradevoli sentenze sullo sport femminile e sui giocatori oriundi, rieletto presidente dai forti nonostante ci fosse una valida alternativa. In pieno stile italiano. Il corpo del rettile non è altro che lo specchio di una società italiana allo sbando, senza un’identità tattica come la nostra nazionale in campo e, al pari di essa, senza una guida illuminata. Lo scaricare le colpe sull’allenatore, nonostante le numerose lacune tattiche, è il rispecchiarsi della vita dell’italiano passata a delegare ed a lamentarsi. Abbiamo perso un’occasione per dimostrare il contrario.

 Il mondiale di calcio è l’unico vero momento nel quale quasi tutta l’Italia si riunisce contro il nemico e la prossima estate non ci sarà, facendo perdere alla FIFA un centinaio di milioni di euro in vendita dei diritti televisivi e soprattutto facendo mancare un indotto incalcolabile alla nazione italiana – Sole24ore stima che il prossimo mondiale avrà un giro d’affari di circa 790 milioni – famosa per essere in grado di fermare ogni attività lavorativa mentre gioca la nazionale.

Invece questa volta gli azzurri non giocheranno. Soprattutto alcuni, che hanno dato tutto per la maglia azzurra per poi chiudere il rapporto con la nazionale in un modo così triste e anonimo: l’inno d’Italia intonato sugli spalti dai tifosi (tra cui chi scrive) a cinque minuti dalla fine era per loro.

La speranza è che questo epilogo possa essere un motivo di riflessione, di smantellamento e di ricostruzione, perché dopotutto dopo Caporetto ci fu la battaglia del Piave. Quando c’è da lottare noi italiani siamo capaci di non mollare, come non abbiamo mollato in situazioni peggiori.

Avanti sempre, forza Italia.

 

A cura di Alessandro d’Onofrio


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