JAZZMI 2017 – NELS CLINE E IL SUO “LOVERS” A PARCO SEMPIONE

Scritto da il 8 Novembre 2017

La settimana del JazzMi non poteva aprirsi in modo migliore. Il 6 Novembre al Teatro La Triennale, in pieno Parco Sempione, è stato il turno di salire sul palco di uno dei fiori all’occhiello del cartellone della rassegna jazz milanese di quest’anno. Nels Cline, con il suo “Lovers”, ha incantato per quasi due ore.

Ci presentiamo, puntualissimi, venti minuti prima del concerto e prendiamo il nostro posto in sala, una platea da poche centinaia di posti che va via via riempiendosi, non sarà tutto esaurito ma decisamente pieno per l’inizio dell’evento. Mentre Mattia e io chiacchieriamo del più e del meno (e impariamo a fare le stories su Instagram per il profilo della radio, terzo millennio non ti temo) ci guardiamo intorno: la location è molto raccolta, e il palco ben curato sia dal punto di vista delle luci – sicuramente quelle che preferisco sono a forma di anello, con luce gialla e regolabili per potenza, disposte in modo circolare intorno alla folta strumentazione degli artisti che creano molta atmosfera -, sia per la cura dell’edificio che mostra un bellissimo mattone a vista sullo sfondo absidale su cui è proiettato un faretto con il nome del festival.

Non facciamo in tempo a finire le nostre considerazioni che le luci si abbassano, il direttore artistico del festival entra sul palco per una piccola introduzione, per poi lasciare subito dopo la scena al protagonista della serata. Cline entra accompagnato da un’orchestra sulla quindicina di elementi dove, a parte i fidatissimi in tour con lui, tra cui il fratello alla batteria, sono presenti moltissimi musicisti milanesi selezionati per l’occasione. Decisamente amplia è la sezione dei fiati fra trombe, fagotto e oboe. Il chitarrista prende posto al centro del palco, imbraccia la chitarra e si parte con l’intro del disco, composizione ariosa che ci proietta sul secondo brano dove lo show entra nel vivo. Con “Beautiful Love” si apre, infatti, il primo atto del concerto, il più lungo e il più canonico per un live jazz, dove viene dispiegato tutto il potenziale dell’orchestra e il grande talento e manico del nostro.

Dopo “Lady Gabor”, quinto pezzo, Nels Cline alza per la prima volta la testa e prende in mano un microfono, con voce compostissima e bassa ringrazia il pubblico. Da qui in poi il concerto sarà suddiviso in mini atti dove all’incirca ogni due, tre canzoni Cline riabbraccerà il microfono per introdurre i brani successivi. Così, il jazz dell’inizio del concerto viene prima contaminato da influenze blues rock, per poi passare ad una parte più sperimentale in cui l’artista usa un misterioso marchingegno per piegare, ritardare, sporcare le onde che la chitarra trasmette all’amplificatore. Ancora, per qualche brano l’orchestra milanese sparisce nel buio di una sezione del palco e Cline ci regala con la prima tromba, nonché direttore della serata, una meravigliosa “Why was I born?”. L’orchestra si riunisce agli americani e si torna su una sezione quasi psichedelica, in cui compare il riarrangiamento del brano dei Sonic Youth “Snare, Girl”. Il concerto si conclude, come il disco, su suoni più acustici e con la magica composizione originale “The Bond” che strappa l’ultimo lungo e convinto applauso del teatro. Sono passate quasi due ore da quando le luci sono calate per la prima volta, nessuno sembra essersene accorto. L’orchestra si alza, salutano, lasciano il palco uno per volta e tutto finisce. Un applauso che non cede richiama sul palco il quartetto americano, Cline ringrazia ancora ed esce di scena.

Avevo già visto, seppur in altri contesti, Nels Cline dal vivo in altre due occasioni, mai come questa volta però ha dimostrato di essere a buona ragione considerato uno dei migliori chitarristi che le terre d’oltreoceano hanno sfornato negli ultimi trent’anni, accostando ad un uso dello strumento a 360 gradi (neanche il ponte della chitarra si salva dalle sue plettrate) e innovativo ad un gusto straordinario. Io e Mattia lasciamo il teatro pienamente soddisfatti e anche l’idea di farsi un’ora di mezzi pubblici notturni per tornare in Zona 4 di Milano non sembra così malvagia.

A cura di Mattia Sofo e Luca Trevisani


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