Interrogare il cielo

Scritto da il 3 Novembre 2016

Un’esperienza “extra-musicale” quella che ha animato noi del pubblico dell’Auditorium di Milano, sabato 29 ottobre, sulle note di Quatre chants pour franchir le seuil (Gérard Grisey, 1998), grazie all’interpretazione del maestro Emilio Pomarico (intervista qui), che ha diretto l’Orchestra sinfonica del conservatorio Verdi di Milano, accompagnata dal soprano Donatienne Michel-Dansac e dal pianista Luca Ieracitano. Grisey è stato uno dei maggiori esponenti della c.d. “musica spettrale”, la quale si caratterizza per lo sforzo di ricondurre e tradurre nel linguaggio musicale le infinite possibilità dello spettro sonoro e in cui persino il rumore entra a far parte della scrittura musicale, che l’artista rende attraverso un sapiente uso dei fiati.

Un vero e proprio vernissage di una delle manifestazioni più alte della musica contemporanea, che ha visto in apertura l’esecuzione de Le Lac (2001 – per ensemble strumentale) di Tristan Murail, seguita da L’Origine du monde (2004 – per pianoforte ed ensemble strumentale) di Hugues Dufourt, entrambi compositori francesi, pressoché coetanei di Grisey.

 

È difficile spiegare a parole e descrivere un concerto del genere senza ascoltarlo e sperimentarlo in prima persona dal vivo. Immaginate di trovarvi al cinema e di stare ascoltando della musica, senza però alcun film proiettato sullo schermo: riconoscete il violino, il violoncello, il pianoforte, l’arpa, i tamburi e sembra stiano riproducendo il rumore della pioggia che cade, e dei tuoni di una tempesta, eppure non state guardando nessuna immagine davanti a voi perché la storia avviene solo nella vostra mente. Una musica dai toni visionari ed avvolgenti quella degli spettralisti, in particolare del Grisey, fil rouge del 25° Festival di Milano Musica 2016, intitolato appunto “Gerard Grisey: intonare la luce”, la cui programmazione ripercorre e presenta, attraverso i capolavori dell’artista francese, quel pensiero musicale che sovvertiva i paradigmi dell’avanguardia musicale dell’epoca e trovava forti riferimenti nella natura, ovvero nella materia sonora. “Ogni suono è – a detta dell’artista- è provvisto di un suo proprio grado di ombra e di luminosità”.  La sua musica non è teoria scientifica del suono, ma riguarda i modi con cui il suono riesce a colpire le nostre orecchie, a far vibrare i nostri corpi e le nostre menti, e che cosa riesce a farci provare. Per Grisey, infatti, la musica deve trattare il suono come materia, come elemento fisico, come fenomeno “vivo”; in particolare,  in Quatre Chants pour franchir le seuil ogni singolo suono riprodotto sembra essere un’entità che vive e respira. L’opera, pensata per un soprano e quindici musicisti e che comprende quattro movimenti separati da brevi interludi, è stata l’ultima prima della sua prematura scomparsa a soli 52 anni e rappresenta una intensa meditazione sul passaggio dalla vita alla morte (il “confine” da oltrepassare è quell’orizzonte che va dall’esistenza alla non-esistenza). La performance di Quatre Chants è quasi una catarsi espressiva: nei quattro canti (Les heueres à la nuit, La Mort de la civilisation, La mort de la voix, La Mort de l’humanité) troviamo visioni apocalittiche che trasmettono un senso di rassegnazione, stasi e, alla fine, di serena accettazione. La tensione emotiva raggiunge il suo culmine all’inizio del quarto canto, quando sembra quasi di ascoltare il mondo implodere in un buco nero creato dal suono delle percussioni, per poi arrivare al movimento finale, in cui improvvisamente il tempo rallenta e si fa più cadenzato, quasi a restituire un senso di serenità post-cataclisma, di quiete dopo la tempesta, ma – scrive Grisey – “non è per addormentare, bensì per destare o dare speranza”.

 

È stato scritto che la soglia da attraversare in Quatre Chants potrebbe essere vista come la “porta” per un nuovo tipo di musica che tragicamente Grisey non ha avuto tempo di approfondire. Milano Musica, in questo 25° Festival, ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con una delle dimensioni più alte della musica contemporanea.

 

A cura di Giorgia Orlando


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