Appartenenze multiple: Milano si specchia in Elif Shafak

Scritto da il 18 Novembre 2016

Radio Bocconi era presente alla cerimonia di apertura di Milano BookCity 2016.
Non appena le luci del Teatro Dal Verme si sono abbassate, Filippo Colombo ed io abbiamo tirato fuori i nostri smartphone – io per prendere appunti, lui per fare live-twitting. Il mio piano era quello di trascrivere con un’attitudine da dattilografa ogni frase pronunciata, per poi rielaborare al più presto il tutto in un buon articolo da inviare già la mattina seguente; ma un’ospite come Elif Shafak chiede tutta la tua attenzione, ti strappa dai tuoi intenti originali, ti coinvolge per poi farti ritrovare con appunti forse più confusionari di quanto non avresti sperato – ma con il collante migliore per tenere insieme ogni frammento di pensiero e germoglio di ispirazione sbocciato durante la sua intervista.

Elif Shafak può essere un nome ancora poco noto al lettore medio italiano, ma il suo invito a presenziare durante la cerimonia di apertura del festival letterario milanese spero sembrerà, dopo aver letto questo resoconto, qualcosa di assolutamente naturale. L’intervento del Sindaco Giuseppe Sala è stato illuminante in tal senso: consegnandole il sigillo della città, egli ha affermato che “l’ascolto delle voci e delle tradizioni differenti sono i valori essenziali per la convivenza che Milano intende promuovere”.

Elif Shafak è infatti un’autrice-ponte fra Oriente e Occidente, come la è la sua Turchia o la sua stessa Istanbul, dall’anima scissa lungo il Bosforo. Nata a Strasburgo, cresciuta da una madre single in seguito alla separazione dei genitori, Elif ha vissuto la propria infanzia ed adolescenza fra Medio Oriente ed Europa, seguendo la madre diplomatica e frequentando scuole internazionali in diversi Paesi. E’ naturale che, temprata dai viaggi, Elif abbia fatto del cosmopolitismo la propria bandiera. “Mi chiedono spesso: “ma la tua casa dov’è?” Io non dico “casa”, dico “case”. E’ possibile avere più case, più appartenenze.” L’identità plurale è stata il cardine attorno al quale ha ruotato ogni suo intervento: promuovere una concezione singolare, piatta, univoca di un essere umano è una tentazione alla quale non sembrano resistere le ondate xenofobe attuali secondo le quali l’appartenenza politica, religiosa e nazionale sono uniche e fisse, immobilizzate dal pesante fardello degli stereotipi a loro legati.
Tutti gli estremisti hanno, infatti, una cosa in comune: non amano e non vogliono riconoscere la complessità dell’identità umana, fluida come l’acqua. Ed è proprio questa fluidità che ha spinto l’autrice a non aderire a nessuna religione organizzata dove, inesorabilmente, viene tracciato un confine fra “noi” e “loro”, ossia un confine fra chi detiene la verità assoluta e chi sarà condannato a dannazione eterna.

Elif vive la propria spiritualità attraverso atti di fede “laici”, dove speranza e dubbio si fondono con un esito dolceamaro: come quando uno scrittore inizia il suo nuovo romanzo pur non sapendo quale sarà il risultato finale, o come quando ti innamori pur non sapendo se, ad attenderti, sarà un lieto fine. Una fede che non lascia spazio al dubbio, sia essa ateismo feroce o integralismo religioso, dà vita a dogmi pericolosi. Sono simili dogmi ad erodere inesorabilmente i diritti delle donne nel suo Paese, dove politici conservatori auspicano che ogni donna metta al mondo fra i tre e i cinque figli, che si dedichi unicamente alla maternità, che non possa ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza e che neppure possa ridere forte in pubblico, perché ciò sarebbe “indecente” per una buona musulmana. Di fronte a simili ingerenze nella vita di ogni donna, Elif ha auspicato la nascita di un movimento femminista che abbracci donne di ogni provenienza, origine sociale e credo. La tematica della sorellanza è stata affrontata nel suo ultimo libro Tre Figlie di Eva, dove l’autrice dà voce a Shirin, anglo-iraniana atea, a Mona, egiziana musulmana osservante, e infine a Peri, donna turca divisa fra tendenze laiche e religiose. E’ così che ‘autrice ha voluto rappresentare la Turchia, come una nazione in preda ad un forte conflitto interiore.

L’Europa non può dirsi diversa, alla luce delle tendenze contrapposte che lacerano attualmente il suo scenario politico. I poli “sinistra” e “destra” sembrano aver dato spazio a due nuovi territori di contrapposizione: quello che auspica una società sempre più aperta, e quello nazionalista. Mentre il primo ministro britannico Theresa May ha affermato che considerarsi “cittadini globali” significhi in realtà non avere alcuna appartenenza, Elif ha ricordato al pubblico la natura del Impero Ottomano del quale la Turchia ha fatto parte – il suo essere multilingue, multiculturale, multireligioso. E’ un aspetto su cui sorvola colpevolmente ogni nostalgia sultanica e neo-ottomana: rinnegando il proprio passato ricco di diversità, la Turchia sta perdendo un patrimonio culturale immenso – e Il Regno Unito rischia ora di compiere lo stesso errore.

Chi si chiude a riccio è colui che è spaventato: il mondo attuale sembra infatti modellato dall’ansia, dall’apprensione. I progressisti e i democratici non si sono rivelati pronti ad intercettare e capire questo sentimento di angoscia verso le nuove ondate di immigrazione ed un futuro che cambia ad una velocità spaventosa: in ciò forse risiede l’attuale crisi del “politicamente corretto” che edulcora problemi e scansa questioni spinose. E’ invece lecito essere ansiosi; ma non è tollerabile che interi Paesi si facciano guidare dalla paura, ignorando come chiusura non significhi sicurezza e spingendo per un marcato isolazionismo in un mondo dove siamo sempre più strettamente interconnessi.

L’angoscia verso il futuro sta decisamente mietendo vittime fra i democratici e liberali turchi, demoralizzati dal giro di vite e dalla serie di purghe che ha colpito la classe intellettuale del Paese: dal tentato golpe avuto luogo il 15 luglio scorso, oltre 130 giornalisti sono stati incarcerati nel quadro dello “stato di emergenza” in vigore, nella cui legislazione è contemplato l’arresto per chiunque diffonda “notizie false o atte a scatenare il panico fra la popolazione” (Legge Sullo Stato di Emergenza 1983, art. 25). La notevole ampiezza di questa definizione ha permesso l’arresto di voci sgradite al governo, la chiusura di giornali di opposizione e l’arresto di scrittori, vignettisti, blogger e professori. In un’Europa sempre più intollerante verso ciò che si staglia ad Est dei Balcani, è necessario dimostrare il nostro sostegno alle forze progressiste e liberali presenti in ogni Paese, ricordando che popoli e governi possono albergare in sé idee e valori talvolta tragicamente discordanti. Mentre la classe politica turca si rivela sempre più aggressiva ed intollerante, una semplice conversazione con le donne, i giovani, le minoranze di questo magnifico Paese si rivelerà un soffio di speranza che sopravvive ad ogni generalizzazione.

E’ questo ciò che Elif ci chiede: di non dimenticare le persone, di anteporle ai loro governi, di valorizzarne ogni liquida sfaccettatura. Non provo altro che un forte orgoglio al pensiero che questi siano “i valori essenziali per la convivenza che Milano intende promuovere”.

a cura di Chiara Natali


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