Appuntamento con la storia: intervista a Mogol
Scritto da BocconiADMIN il 22 Novembre 2016
“Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi…”, “in un mondo che non ci vuole più”, “non sarà un’avventura”
Leggendo queste frasi è impossibile non canticchiarle nella nostra mente e magari andare anche oltre l’incipit. Con le canzoni non succede sempre, ma solamente quando una canzone raggiunge così tante persone da entrare nell’immaginario collettivo e guadagnarsi un posto nella cultura popolare. Noi di RadioBocconi abbiamo avuto la fortuna e l’onore di parlare con Mogol, che la cultura popolare non solo la conosce molto bene, ma ne è inevitabilmente parte. Trovarsi faccia a faccia con una delle penne più autorevoli della musica italiana è quasi surreale, eppure è lo stesso maestro che subito dopo le strette di mano ci tiene a cacciar via l’atmosfera quasi mistica creatasi, in favore di una molto più familiare e palesemente più adatta al suo modo di fare molto umano.
“E voi state tutti in piedi? Allora, sediamoci tutti!”
Rompe subito il ghiaccio e, a chi suggerisce che sarebbe il caso di inginocchiarsi davanti a lui, piuttosto che sedersi, lui risponde con una risata sincera e bonaria. Proviamo a prendere la parola ma veniamo subito preceduti:
“Intanto, sono emozionato di trovarmi in questa Università che è la stella delle università italiane, specialmente in economia. Un’università di straordinaria importanza che è vanto del nostro Paese.”
Perché Mogol è così: piuttosto che star fermo a ricevere complimenti su complimenti (che sarebbero comunque meritatissimi e necessari), preferisce dialogare come si farebbe tra amici in un bar. Non ci troviamo davanti ad un monumento, ma ad uomo; un uomo particolarmente saggio, ma comunque umano.
RadioBocconi: “La prima domanda che volevamo farle riguarda la canzone Arcobaleno, del 1999. Questa canzone sembra quasi un addio che Battisti le dedica. Le parole che chiudono la canzone sono “Ascolta sempre e solo musica vera e cerca sempre, se puoi, di capire”. Chi nel panorama musicale attuale fa, secondo Lei, musica vera, sia tra gli autori che tra gli interpreti?
Domanda complessa, non stiamo vivendo un momento straordinariamente felice nella cultura popolare. Me lo chiede per strada la gente: “come mai una volta c’erano venti grandi artisti ed adesso si fanno solo due nomi, quei mezzi nomi? Com’è successo tutto questo?” La verità è che chi fa promozione fa anche la produzione, questo vuol dire che quello che produce è avvantaggiato rispetto a quello che farebbe il meglio. È un problema grosso. È innegabile: dal livello della cultura popolare dipende il livello della gente. Perché un libro, quando è venduto in 100 000 copie, è un grande successo; una canzone arriva a raggiungere, se è una grande canzone e di grande successo, anche 20, 25 milioni di persone. Quindi la possibilità di influenzare e di rimanere nella mente e nel cuore della gente (tant’è vero che la gente molto spesso le canzoni le conosce a memoria, i libri non si conoscono a memoria invece) è grandissima. La cultura popolare è fondamentale. Io perché ho fatto questa scuola? (Il CET, Centro Europeo di Toscolano ndr) Questa è una scuola di livello internazionale, tant’è vero che ci hanno chiamato nel Kazakistan, in un’accademia, ma ci ha chiamato anche la Polonia ed adesso stiamo presentando un progetto internazionale, perché la formazione del formatori del POP è importante. Nei conservatori si studia musica classica e la possibilità di lavorare con la musica classica è molto inferiore rispetto a quella del POP. La musica classica è importante studiarla e conoscerla e ne vale la pena, infatti si chiamano conservatori perché vale veramente la pena, ma questo non vuol dire che si debba ignorare la cultura popolare, di cui le accademie si erano dimenticate fino al 2000. La cultura dei libri deve passare anche dalla musica popolare, altrimenti le accademie fanno musica dodecafonica, che è una realtà ed è stata una realtà, ma la musica poi finirebbe per diventare d’elite e nascerebbe solo nelle accademie e questo non può accadere. Dante ha scritto il De Vulgaris Eloquentia in dialetto italiano e Mozart suonava al teatro di Vienna, al teatro popolare, quindi non è che chi fa parte della cultura popolare non può diventare cultura d’elite; anzi è proprio attraverso, non i critici, come si può pensare, ma attraverso l’affezione familiare, attraverso le famiglie che danno ai figli e che promuovono verso i figli le opere che rimangono nel loro cuore che si entra nella cultura popolare. È così e questa meccanica ha comunque bisogno di promozione, perché se non si fanno sentire le canzoni, non sono nulla. Una canzone nel cassetto non è niente, è un foglio di carta che non produce, non fa ascolti e non arriva all’ascolto. Le persone possono selezionare tra quello che ascoltano, ma non possono costruire quello che non ascoltano. È questo il problema grosso di questo nostro Paese oggi. Anzi, diciamo che non è un fenomeno solo italiano ma particolarmente accentuato in Italia. Se noi andiamo a vedere i film abbiamo già la risposta. C’è stato uno scadimento importante, c’erano dei film straordinari ed adesso sono filmetti molto spesso; ci sono anche i grandi film, ma sono rari. Per gli artisti e le canzoni è lo stesso. Se andiamo a vedere è un problema per cui non credo si possa dare la colpa alla tecnologia; ci sono meccanismi che hanno portato a tutto questo. Uno di questi è quello che ho detto prima: il profitto porta alla fine della cultura se non è difesa! Questo è il vero problema. Io ho fatto questo che è stato il più grande sacrificio della mia vita (parla dell’esperienza al CET, precedentemente citato ndr). Io per ventiquattro anni ho insegnato, sono stato il presidente e non ho mai chiesto un compenso, anzi ho anche aggiustato i bilanci… e voi sapete bene cosa vuol dire, nessuno lo sa come voi! L’ho fatto per restituire un po’ di quello che avevo ricevuto dalla gente ed abbiamo nella nostra scuola un livello straordinario. Tra i nostri allievi ci sono stati Arisa e Giuseppe Anastasi (autore per Arisa), anche Pascal, numero uno in Kazakistan. Io sono andato in un supermercato con lui e siamo stati circondati da un centinaia di ragazzi, ma in Italia, me l’ha fatto notare anche lui, è un’altra cosa. Lui se lo meriterebbe il successo, è di un grande livello. In Italia però la notorietà conta di più dell’essere artista, la notorietà fa audience; l’artista pure fa audience, ma bisogna aspettare un attimo… il profitto… il profitto invece… il profitto non attende! Ecco, non mi dispiace questa frase. Lei cosa dice professore?
Si rivolge ad un prof presente al momento dell’intervista ed il prof prontamente risponde: “Io sono d’accordissimo. Per un investimento di lungo periodo bisogna essere pazienti ed aspettare il ritorno”.
Poi non è di gran lungo periodo, si tratta di aspettare qualche anno, però dà dei risultati fantastici. Quindi questo è il problema. Io comunque non rinuncio, non sono ottimista ma non rinuncio ed andiamo avanti a tutti i costi, perché è una ragione di vita.
RadioBocconi: “A proposito del Centro Europeo di Toscolano, volevo chiederle come gli artisti riescono a posizionarsi nel panorama musicale nonostante la concorrenza dei talent che sembrano la via più facile per arrivare al medesimo risultato?
In realtà incontriamo delle grosse difficoltà, perché il CET non è un talent; non abbiamo antenne, non è una radio, ma dipendiamo da chi promuove e chi promuove è anche una scuola molto spesso, una scuola dove molto spesso gli insegnanti non sono così… colmi di sapere, capito? Si può insegnare se si sa, ma senza sapere non si insegna. Non si insegna… la cultura non è un optional, è indispensabile. La cultura è indispensabile.
Salutiamo Mogol lasciando spazio ai colleghi del giornale Tra i Leoni ed è lì che Mogol si rivolge nuovamente a noi chiudendo l’intervista con una certa teatralità: “a proposito di leoni, ho saputo della vostra tradizione, ma non sono passato in mezzo… non si sa mai!”.