Purificare lo sguardo per comprendere la realtà – filosofia a BookCity
Scritto da BocconiADMIN il 23 Novembre 2016
Lo scorso fine settimana abbiamo partecipato al festival letterario di BookCity, sparso un po’ per tutta la città di Milano. In questo articolo vi parlerò in particolare di ciò che è emerso da un filone di eventi dedicati alla filosofia, che potremmo intitolare, scarnamente, “Pensieri”. La materia prima è costituita dalle discussioni sostenute, in vari momenti e luoghi, dagli autori: Laura Boella, Elio Franzini, Alfonso Maurizio Iacono, Massimo Cacciari, Sergio Givone, Sarah Bakewell, Armando Massarenti e Mauro Bonazzi; l’articolo non vuole, tuttavia, essere un resoconto fedele di quanto detto, ma piuttosto una rilettura in chiave personale. Ma non indugiamo oltre.
Un tema fondamentale affrontato è come orientarsi nel pensiero per comprendere la realtà di oggi. Partiamo, innanzitutto, dalla premessa un po’ psicologistica che sostanzialmente “ciascuno filosofa se stesso”, ovvero esiste sempre una componente imprescindibile legata alla propria soggettività ogniqualvolta ci immergiamo nell’amor intellectualis. Tuttavia, possiamo comunque trarre, se non delle conclusioni forti, dei principi quantomeno utili per la nostra vita. Infatti, ciò che scrivo è rivolto a tutti, in quanto tutti siamo filosofi ogniqualvolta ci interroghiamo e ci poniamo dubbi, e l’esercizio del pensiero e della ragione non sono – e non dovrebbero essere – appannaggio solo di una piccola parte della società.
La domanda formulata sopra ha un carattere spiccatamente kantiano e ci porta a interrogarci prima facie sul ruolo della filosofia oggi, che secondo Montaigne è “arte del vivere” e secondo Adorno è esercizio del pensiero che ha il compito di “fare filosofia contro la filosofia” (e in questa idea possiamo includere abbastanza fedelmente una serie di pensatori inquieti del ‘900 che in qualche modo hanno ridefinito l’idea del pensare, come Arendt, Zambrano, W. Benjamin e Kosík). Le loro considerazioni gettano nuova luce sull’idea che la filosofia è (o deve ricordarsi di essere) limitata. Diventa, quindi, importante il concetto di definizione come delimitazione, indagine sui limiti e su ciò che sta al di qua e al di là di essi. Come fare, dunque, a definire con un buon grado di precisione la realtà? Senza avventurarci in discussioni troppo complesse, consideriamo che la risposta a questa domanda implica parlare del concetto di rappresentazione della realtà: ciò che osserviamo viene sempre “filtrato”, appunto, da quella soggettività che abbiamo esorcizzato già dalle prime righe; di conseguenza, ciò che chiamiamo “realtà” altro non è che la “rappresentazione” di essa. Ma rappresentare implica percepire, e percepire implica che esistono un osservatore ed una prospettiva. Se pensiamo anche solo al significato pittorico del termine “prospettiva”, ci appare evidente la natura illusoria immanente all’atto di osservare, e quindi di definire, e quindi di rappresentare. È un’illusione a cui pare non esserci scampo, legata al concetto di “verosimile”, l’εἰκός di cui parlava già Aristotele nella Poetica (pensiamo a Ceci n’est pas une pipe di Magritte, che con queste premesse diventa il manifesto estremo dell’illusorietà inaffidabile della rappresentazione: vedo una pipa, ma tale non è). Sapersi orientare diventa, in definitiva, saper guardare, i.e. partire dal senso comune elogiato da Kant e Cartesio per arrivare a cogliere il visibile ma soprattutto l’invisibile, ciò che immediatamente sfugge alla vista e che va ricercato, i mondi intermedi di cui parlava Klee.
L’essere umano, in ogni epoca e luogo, è sempre alla ricerca di risposte a quelle domande che consideriamo “grandi” e che possiamo riunire sotto una costante e strenua ricerca di senso. La filosofia (o la ragione, se vogliamo essere generali) non ha – o non deve avere – l’ambizione di dare risposte a tutto, nonostante il fatto che nell’immaginario comune ci si rivolge a questi grandi saggi che sono i filosofi e gli scienziati per risposte profonde sul senso della vita (basti pensare a tutti gli sforzi della comunità scientifica negli ultimi decenni di giungere alla formulazione di una “teoria del tutto” che sia in grado di spiegare il nostro universo, e di quanto ciò sia divenuto via via sempre più mediatizzato). Non deve essere così. Tuttavia, la filosofia è sicuramente in grado di fornire degli strumenti per aiutarci a discernere un po’ meglio cosa accade intorno a – e dentro di – noi.
In questo senso, le conclusioni tratte sul saper guardare si possono traslare anche in un contesto “metafisico” (con un utilizzo improprio del termine, ma insomma avete capito, parliamo di cose “non cose”). Se saper guardare implica saper cogliere visibile e invisibile, una cosa e il suo contrario, forse allora anche la verità stessa, se di questo vogliamo parlare, è un sostantivo che va declinato al plurale. Il nostro percorso ci porta a parlare di un pluralismo delle verità, senza cadere in un relativismo tanto spicciolo quanto controverso, ma riallacciandoci alle considerazioni fatte in precedenza su questa natura duale dell’osservazione della realtà (oggetto osservato e mimesi di esso che ci perviene): nasce l’idea della verità che ha luogo in ognuno, che prende vita qui e ora, ma anche là e dopo, lì e prima. Platone questo già lo sospettava nel Simposio, citando il coro nella Medea di Euripide, ma respingeva l’idea. Ma senza scomodare Platone, tiriamo ancora una volta per la manica la fisica. Se vi fosse chiesto dove siete in questo preciso istante, lo sapreste dire con certezza (a meno che non foste sotto effetti avversi di sostanze alteranti, come possono esserlo gli svariati bicchieri di vino che vi siete scolati lo scorso fine settimana, ma al momento sorvoliamo). Certezza è la parola chiave in tutto ciò ed è una caratteristica che siamo in grado di associare tipicamente allo spazio-tempo, ossia sappiamo di essere qui, ora, senza ombra di dubbio. Ma se qualcuno vi dicesse che ciò non è esattamente vero? Gli ultimi sviluppi nella fisica (sempre legati alla forsennata ricerca di questo Sacro Graal della “teoria del tutto” a cui si accennava poche righe fa) ci dicono che, probabilmente, ad una scala sufficientemente piccola, lo spazio-tempo, anziché essere “liscio” e regolare, è invece “schiumoso”, quindi fluttuante. L’implicazione è evidente: noi non saremmo più con certezza qui, ora, ma potremmo essere là, dieci minuti fa, oppure lì, tra mezz’ora. Chiaramente ciò non si applica ad oggetti macroscopici come lo siamo noi, ma il semplice fatto che una tale indeterminazione esista nel nostro universo, che generalmente crediamo esatto e matematicamente stabile, la dice lunga su quanto la natura della verità stessa possa essere fluttuante anch’essa: se “qui, ora” non è più ovvio, cosa può esserlo?
Orientarsi diventa, dunque, saper guardare, che a sua volta diventa saper avere uno sguardo puro (pensate all’idea della catarsi tipica della tragedia) verso la realtà, che ci permetta di vederla in una cosa e nel suo contrario, non solo nelle nostre tasche o nelle parole di qualcuno che ammiriamo, ma bensì qui e là, ora e domani e ieri.
Giungiamo, quindi, in scioltezza alla domanda finale: cosa dobbiamo fare noi in quanto filosofi, una volta acquisita consapevolezza? Si è parlato molto di quale dovrebbe essere il ruolo del filosofo nella società moderna (vi ricordo l’accezione del termine “filosofo” qui, che si riferisce a tutti noi ogni giorno), senza trovare troppo consenso. Sartre sosteneva che la filosofia dovesse essere impegnata (anche se c’è da dire che l’esperienza politica degli esistenzialisti non si concretizzò in maniera troppo appagante). Tuttavia, impegno non è traducibile necessariamente con “impegno politico” o l’asservimento ad alcune ideologie. Si può affermare, invece, che il ruolo del filosofo, quindi di tutti noi, è quello di tornare a far ragionare, di raffreddare gli animi, soprattutto in un’era in cui la verità e l’uso del raziocinio non sembrano più contare poi così tanto. Husserl asseriva che bisognasse riportare in auge l’”eroismo della ragione” per salvare l’Europa, una posizione che avremmo potuto leggere sul New York Times l’altro ieri, ma che invece veniva esposta all’avvento del nazismo in Germania.
Per concludere, orientarsi è difficile e probabilmente lo sarà sempre di più. Orientarsi oggi vuol dire, nella vita di tutti i giorni, considerare la realtà con consapevolezza, ricordarsi che c’è sempre un altrove che potremmo non essere in grado di vedere e rapportarsi alla mancanza di punti di riferimento dell’età post-moderna (la parola dell’anno per l’Oxford Dictionary è, addirittura, “post-truth”, post-verità, per darvi un’idea) senza l’ansia tipica dell’homo sapiens sapiens moderno, ma con la serenità di chi osserva il mondo e la vita dalla giusta prospettiva. Il viaggio della vita ci porterà attraverso molte peripezie (nel senso del termine greco peripeteia, ossia “colpo di scena, rovesciamento”), ma tutto ciò risulterà nella catarsi tipica delle grandi tragedie, o meglio, delle grandi storie, e ci consentirà di vedere la vita con occhi sempre nuovi, con uno sguardo purificato.
“We shall not cease from exploration
And the end of all our exploring
Will be to arrive where we started
And know the place for the first time”(T. S. Eliot, Four Quartets)
A cura di Luca Stanus Ghib
Nota dell’autore:
Per brevità, alcuni concetti sono stati necessariamente presentati in maniera approssimata. Invito, quindi, chi fosse interessato, a consultare:
– https://en.wikipedia.org/wiki/M-theory per un’esaustiva spiegazione della M-teoria, attualmente il miglior candidato per essere una teoria del tutto;
– https://en.wikipedia.org/wiki/Quantum_foam per ulteriori informazioni sulla teoria della schiuma quantistica, sulle fluttuazioni quantistiche e sull’importanza del principio di indeterminazione di Heisenberg in questo frangente;
– L’opera di Paul Klee, il cui quadro “Burg und Sonne” possiamo vedere in copertina, in quanto legata a molti dei concetti che abbiamo affrontato. Egli, infatti, vede l’arte non come semplice rappresentazione della realtà, bensì come indagine che svela i meccanismi più profondi e nascosti della natura (fonte: Paul Klee). Riporto qui una sua citazione: “Tutta la transitorietà è soltanto un’allegoria. Ciò che vediamo è soltanto una proposta, una possibilità, un aiuto. La verità vera giace prima nel fondo invisibile.”
– Alcuni dei libri presentati durante gli incontri con gli autori:
Luce d’addio. Dialoghi dell’amore ferito, Sergio Givone
Filosofia della crisi, Elio Franzini
Al caffè degli esistenzialisti, Sarah Bakewell.
Invito, infine, a leggere, oltre agli autori già citati nel testo, Jacques Derrida, Jean-Luc Nancy e in generale gli esistenzialisti.