L’attualità a BookCity Milano 2016: “Diritti annegati” e voci di speranza

Scritto da il 22 Novembre 2016

Domenica 20 Novembre, in occasione di Bookcity Milano, abbiamo preso parte ad alcuni eventi che hanno puntato i riflettori su quello che accade tutti i giorni nel nostro mondo.

Il fenomeno dell’immigrazione è qualcosa con cui, bene o male, tutti si trovano ad avere a che fare, per quanto distrattamente. Basta accendere la televisione, o semplicemente guardarsi intorno per strada per vedere volti diversi dai nostri. E alcuni volte, quei volti sono volti segnati, che nascondono una storia incredibile. Sono i volti di gente che scappa dalla guerra, dalle privazioni, da tante cose che noi, nella comodità delle nostre poltrone, difficilmente riusciamo ad immaginare.

Troppe volte, i volti che vediamo sui nostri schermi, di tv, pc o smartphone che siano, sono di quelle persone che non ce l’hanno fatta.

Proprio di loro, delle masse di dimenticati nel mare a largo di Lampedusa, hanno parlato la dott.ssa Cristina Cattaneo e l’avv. Marilisa D’Amico, presentando il loro libro Diritti Annegati in collaborazione con il costituzionalista Zagrebelsky.

Diritti annegati è un libro che colpisce come uno schiaffo, fin dal nome.
L’identificazione delle persone che perdono la vita nel Mediterraneo è un tema che mai prima d’ora era stato messo al centro della discussione. Eppure, esso è in linea con i nostri principi fondamentali della nostra Costituzione, che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli e tutela lo straniero quando fugge dal conflitto e dalla morte.

Il problema di fondo è che quella dei migranti è una faccenda scomoda. È molto più semplice chiudere gli occhi di fronte ad un gommone che cala al picco nel nostro mare. È qualcosa di così lontano da noi che non vediamo per quale motivo dovrebbe coinvolgerci anche solo emotivamente. Allora, per quale motivo se un Boeing precipita in Europa, e a bordo ci sono italiani, inglesi e francesi, tutti si mobilitano?  Nessuno lascerebbe mai queste persone senza un nome, non permettendo in questo modo di avvisare i loro cari. Boeing si, gommone no. Due pesi e due misure.

“È per questo”, dice Vittorio Piscitelli, Commissario Straordinario di Governo per le persone Scomparse, “che scrivere questo libro è stato così difficile. Viviamo in un ambiente sordo, in cui le uniche volte in cui si finisce per parlare di migranti è quando il problema può essere strumentalizzato da una o l’altra fazione politica.”

La verità è che dietro ad ogni morto c’è una famiglia. Persone rimaste indietro, al paese d’origine, oppure sparse in giro per il mondo. Gente che ha esattamente gli stessi diritti dei parenti di chi era sull’ultimo aereo schiantato di cui abbiamo sentito parlare al tg. E questi diritti vanno riconosciuti. E non solamente dall’Italia, che è il paese che maggiormente si sta impegnando a riconoscerli, ma da tutta l’Europa, fino ad ora incapace di dare risposte reali; occorre creare una rete internazionale di raccolta dati ante mortem di cui possano beneficiare coloro che rimangono.

Fratelli, figli, mogli, mariti e genitori.

Fortunatamente, qualcuno sta dando una mano concreta. Tante NGO si sono mobilitate per aiutare in questo progetto, una fra tutte l’American Academy of Forensic Sciences, qualcosa di vicino alla nostra idea di “scientifica”, che ha finanziato la raccolta dei dati nei paesi d’origine. La speranza è che, se nel 2016 più della metà dei morti in mare sono rimasti senza un nome, negli anni a venire si possa fare qualcosa per cambiare la situazione e tutelare il diritto fondamentale all’identità, ciò che fa di noi gli individui che siamo.
In conclusione, l’avv. D’Amico ci ha chiamato tutti all’opera: “è da noi che dipende la ricchezza dello stato Costituzionale, perché siamo noi, i cittadini, a dare un senso alla parola democrazia. Pertanto, siamo proprio noi, nel nostro piccolo, un mattone alla volta a poter far si che i diritti umani siano garantiti.”

 

Sempre in tema di speranza per il futuro, c’è qualcuno che di questa speranza si fa portavoce. Si tratta di Maxima, la protagonista del secondo evento della giornata, che a soli 14 anni ha lasciato la Siria, la sua casa, la sua famiglia, per andare in un posto migliore, dove i suoi diritti di ragazzina potessero essere riconosciuti. Maxima non era presente all’evento. È in Olanda, dove ha potuto riprendere ad andare a scuola, dopo tre anni senza un’istruzione. La sua storia è quella che potrebbe essere la storia di tutti noi, nella malaugurata eventualità che da un momento all’altro un conflitto di simile portata scoppiasse nel nostro paese.

Figlia di un contabile e di un’infermiera curdi, fino al 2011 Maxima ha vissuto una vita normalissima. Poi la guerra civile, le fazioni, le rivolte hanno cambiato tutto. Nell’agosto del 2012, assieme alla sua famiglia e a metà del resto della popolazione, si è trovata costretta a lasciare Aleppo per trovare una città più sicura. Si è trasferita in uno dei tanti villaggi curdi al confine con la Turchia, fino a quando questo non le è bastato più. Certo, non era in pericolo di morte concreto, anche se essere a sole tre ore di macchina da al-Raqqa, la capitale dello stato islamico, circondata da tanti altri gruppi di ribelli affiliati di al-Qaida, rendesse la sua situazione estremamente delicata.

Ciò che l’ha spinta ad imbarcarsi così giovane – poco più di una bambina – in un viaggio tanto pericoloso è stato la ricerca di una vita migliore. La necessità di vedere tutelati i propri diritti. Maxima voleva andare a scuola e, dopo aver insistito per tanto tempo, è riuscita a convincere i suoi a permetterle di partire per la rotta balcanica e lasciare il passato alle spalle.

La sua storia è raccontata in prima persona nel libro Solo la luna ci ha visti passare, in cui sono raccolte e rielaborate le interviste di Francesca Ghirardelli, una giornalista freelance che l’aveva incontrata in un campo profughi a Belgrado, dove si trovava per un reportage ed era rimasta completamente travolta dalla sua determinazione. Francesca l’ha rintracciata poco tempo dopo, scoprendo che Maxima era riuscita ad arrivare sana e salva a destinazione, e le aveva proposto di lavorare insieme ad un libro, in cui parlare al mondo del suo viaggio così difficile.

Accompagnata nel viaggio da zio e cugina acquisita, ha guidato un piccolo gruppo di profughi siriani tra Turchia, Macedonia e Serbia, sempre più su fino alla desiderata Olanda.

Ciò che l’ha resa una piccola leader è stata la sua conoscenza dell’inglese. Unica in tutto il gruppo, si è trovata a comunicare con i trafficanti per contrattare sui viaggi da un confine all’altro, a volte aspettando per giorni prima di trovare qualcuno che prendesse seriamente la sua voce così fresca e infantile. Hanno dovuto attraversare boschi, in camminate estenuanti, unico modo per passare il confine, e il mare, quando la vedetta non li ha colpiti con li suoi fari ed è andata avanti, e solo la luna li ha visti passare. Ma alla fine ce l’hanno fatta.

Le piccole cose che si scoprono quando si ascoltano queste testimonianze fanno quasi sorridere. L’oggetto più importante per un migrante è il suo smartphone, telefono spesso davvero dell’anteguerra, comprato prima che scoppiasse il conflitto, quando la vita andava avanti normalmente, a cui ogni viaggiatore si aggrappa con tutte le sue forze. L’unico collegamento con casa. Ogni volta che chi è scappato arriva in una città, cerca subito un posto con il free-wifi, per poter rassicurare i loro cari, dire loro che il viaggio stava andando avanti senza intoppi e poterli sentire vicini, nonostante l’enorme e vertiginosa distanza. L’ultima chiamata di Maxima è stata all’arrivo in Olanda, un momento di gioia dopo un mese di paura.

Personalmente, credo che queste storie abbiamo una grande capacità di far riflettere. Nel mondo ci sono persone coraggiose, pronte a sfidare il più crudele dei destini per vedere riconosciuti e tutelati i propri diritti. Persone come Maxima e i suoi compagni di viaggio, per esempio, sono la prova concreta che la determinazione è un dono che ognuno riceve alla nascita. 

Sta a noi imparare a metterla a frutto.

 

A cura di Elena Martina


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