I concerti non si fermeranno. E grazie a Dio, se sono come il Mi Ami.

Scritto da il 27 Maggio 2017

La prima serata del Mi Ami si è tenuta tre giorni dopo gli accadimenti di Manchester durante il concerto di Ariana Grande, e il ricordo è ancora fresco e lungi dall’esser sbiadito.

Raggiungo l’Idroscalo con la consueta scomodità – chiedete a qualunque milanese come raggiungere l’Idroscalo con i mezzi pubblici e vedrete voi stessi le risposte – e, finalmente, entro al Circolo Magnolia. Sono circa le 20.00; vedo gente spensierata, mentre beve una birra o mangia un hot dog – che a proposito, shout-out immenso agli hot dog del Mi Ami, ché ne avrei mangiati tipo quattro ma non mi pareva il caso – nell’attesa che inizino i concerti.

Mentre sui due palchi si alternano i Pan Del Diavolo, gli Zen Circus, Lucio Corsi, Eva Pevarello, Carmen Consoli e tanti altri, vedo gente che alza le mani al cielo, che canta a squarciagola, che salta, che balla e che si bacia. E ripenso a Manchester, e a quanto mi fa rabbia. Tutti quanto hanno il diritto di stare sotto un palco a cantare, tutti quanti hanno il diritto di sentirsi parte di una moltitudine armonica e foriera di pace e futuro che intona all’unisono i pezzi degli artisti sul palco. I brividi, durante un concerto, devono essere solo quelli che provoca la musica.

Ripenso a Manchester, e mi fa rabbia, tanta rabbia. La rabbia, la si può concedere. Il rimanere paralizzati, mai: i concerti non si fermeranno. E grazie a Dio, se sono come il Mi Ami.

 

 

La mia serata inizia – musicalmente parlando, ché era già iniziata con l’hot dog – con il live di Eva Pevarello, terza classificata all’ultima edizione di X Factor, nella categoria over di Manuel Agnelli e opening act del tour teatrale “Eco di Sirene” di Carmen Consoli. Una voce tagliente, profonda, intensa, che però da sola vale ben poco. L’impressione è che la tatuata vicentina ancora non sappia, nella peggiore delle ipotesi, che cosa dire; nella migliore, come dirlo.

Al termine dei quattro brani cantati da Eva, durante i quali un’artista ha svolto un live painting – ovvero, disegnava su un foglio che in tempo reale veniva proiettato su uno schermo sul palco dove si svolgeva l’esibizione – arriva il momento di trasferirsi al palco Dr. Martens, per la sequenza Zen Circus – Carmen Consoli.

 

Coinvolgono il pubblico, gli Zen Circus. Bisogna dire che l’impresa non è certo titanica, quando si urlano frasi facili come “andate tutti a fanculo” o “a vent’anni ero uno stronzo”, che aizzerebbero qualunque moltitudine in hype da concerto. E’ già più notevole l’abilità nel far delirare i fans con canzoni come “Viva”, suonata per ultima, con un testo più pungente, profondo e meno immediato, recepito però con uguale facilità e amore dal pubblico. Dunque sì, probabilmente il loro ricorso a frasi facili da concerto è talvolta eccessivo, ma poi alla fine che ci importa. I concerti sono anche urlare a squarciagola “andati tutti a fanculo” e ci va bene così. Agli Zen Circus va dunque riconosciuta l’abilità nel mettere in musica i pensieri di molti – meglio di come molti sarebbero in grado –, di sollevare folle carichissime e caricarle ancor di più, nonché di essere dei musicisti ineccepibili.

 

Al termine, è la volta di Carmen Consoli. Una parte di me sta cercando di reprimere l’impulso a recensirne l’esibizione con una pletora spropositata di aggettivi positivi, per non incorrere in faziosità; la parte complementare cerca di convincere l’altra che tali aggettivi sarebbero una rappresentazione oggettiva, più che soggettiva. Nel dubbio, non essendo in grado io stesso di risolvere questa lotta Dr. Jeckyll vs Mr. Hyde, opto per non usare i superlativi, ché mi pare un buon compromesso.

Carmen arriva sul palco sola con in braccio la sua chitarra acustica, e intona una dietro l’altra Parole di Burro, Fiori d’Arancio e Geisha, sul cui acuto finale cominciano a scrosciare i primi applausi. Gradualmente, il palco si riempie: arrivano la chitarra elettrica, il mandolino, i fiati, il violino e il violoncello. La setlist ricalca in parte quella del suo “Eco di Sirene tour”, anche se gli arrangiamenti sono diversi. I suoi successi suonano tutti, accompagnati dal pubblico: In bianco e nero, Confusa e felice, L’ultimo bacio, Venere vengono intervallati da brani meno noti come la commovente Mandaci una cartolina, la pungente AAA Cercasi, o la cruda e tagliente Mio zio.

Prima di Maria Catena, brano dal testo ricercato e mai banale sui danni della maldicenza e sul “ricorso sfrenato al pettegolezzo imburrato, infornato e mangiato, prelibatezza e meschina delizia per palati volgari”, Carmen Consoli si auspica l’obbligatorietà di un vaccino: quello “contro le minchiate!”

La setlist si chiude con ‘A Finestra, brano interamente cantato in siciliano, prima del bis in cui Carmen Consoli esprime il desiderio di suonare, col chitarrista con il quale ha iniziato da giovane la carriera da musicista, il suo primo brano: Amore di plastica, e finalmente il pubblico inizia a sfogarsi e farsi sentire forte.

 

Insomma, al Mi Ami val sempre la pena di andare. E come memento del fatto che i concerti non devono fermarsi, mi è parso adeguato.

 

Filippo Colombo

 


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