“Lullabies, il nuovo progetto di Davide Ferrario
Scritto da Redazione Radio Bocconi il 16 Aprile 2019
È uscito ieri “Lullabies”, il nuovo EP di Davide Ferrario, storico chitarrista di Max Pezzali e Franco Battiato. Oggi, 16 aprile, noi di Radio Bocconi lo abbiamo incontrato negli uffici dell’agenzia di comunicazione “Parole & Dintorni” per sapere di più di questo suo nuovo progetto.
Come ci presenti “Lullabies”?
Ci devo pensare! Questo è il risultato di una serie di anni di ascolti di una musica elettronica (dance, house e tutto quel mondo lì), che in realtà vanno molto al di fuori di quello che ho sempre fatto. Lo sapevo solo io che ascoltavo quella roba lì, ma per la gente sono sempre stato il chitarrista di Pezzali e degli altri. Quindi è una cosa che completamente si distacca e che potrebbe anche creare una sorta di estraniazione per le persone che mi seguono. È un disco molto morbido che ruota intorno al pianoforte: entrambe le tracce (che sono solo due di quelle che ho scritto nel tempo) nascono comunque al pianoforte, con quel senso di morbidezza sonora. Tutto questo fa parte di questo tipo di minimalismo che a me piace molto cercare nell’elettronica.
Com’è possibile che una persona come te, che hai lavorato con tantissimi generi, poi si appassioni e si concentri su questo genere?
Per la mia formazione sono un informatico e quindi la musica che facevo, di qualsiasi tipo fosse, passava sempre attraverso un computer e degli strumenti di vario tipo che alla fine finivano sempre in qualcosa che non era la chitarra con l’amplificatore. C’è sempre stato questo tipo di approccio qui. Pensa che mio padre in casa aveva mille strumenti collegati con il MIDI. Ovviamente questo aspetto nerd del mio carattere trova molta felicità in questo tipo di genere musicale. Sono molto affascinato dalla qualità dei suoni e da tutta una serie di processi che si devono intraprendere per arrivare a fare certe cose, quindi, dalla produzione tecnica. La musica elettronica al 90% è suono: la qualità di quello che senti spesso è più importante delle note, posto il fatto che tra i miei ascolti ci sono molte colonne sonore, dove l’aspetto compositivo è predominante.
Nei tuoi brani, nel tuo lavoro, ti porti dietro le relazioni con i grandi artisti che hai costruito negli anni? Sia dal punto di vista musicale, sia dal punto di vista relazionale.
Dal punto di vista della collaborazione, ti dico subito di no perché questa musica qui è nata da un’esigenza mia e dal voler un po’ giocare con tutte queste cose che non avevo mai fatto. Non ho mai pensato nemmeno che quello che stessi facendo sarebbe mai uscito o che sarebbe mai stato pubblicato da qualcuno: era un esperimento mio, per me stesso, un’urgenza mia. Invece, dal punto di vista tecnico e di professionalità, è inevitabile perché dopo tanti anni, vuoi o non vuoi, qualcosa interiorizzi. Sicuramente tante cose che ho infilato in questa musica, anche a livello di inconscio, provengono da quello che ho imparato in questo tempo.
Come nasce la tua passione musicale?
Mio padre era un musicista per hobby, quindi di musica ne è sempre girata tanta a casa mia. Chiaramente quella che ascoltava lui, quindi gli anni Settanta, i Pink Floyd, i Beatles, ecc…. C’erano anche tanti strumenti per cui la prima chitarra ce l’avevo già in casa, non avevo bisogno di cercare altrove. I miei non mi hanno mai forzato a fare questa cosa, anzi, non hanno mai voluto che facessi il musicista. All’inizio mi ostacolavano poi, quando hanno capito che un pochino guadagnavano, hanno detto che andava bene, ma è avvenuto molto tardi. All’inizio, quando passi i pomeriggi a suonare e non a studiare… Voi siete Radio Bocconi, non dovrei dire queste cose! – scherza – Probabilmente anche questo aspetto di non subire dei genitori che ti dicono cosa devi fare perché sei bravo, non mi avrebbe aiutato perché c’è sempre una forma di rifiuto per le cose che ti vengono imposte. Tuttora credo che loro vorrebbero che facessi l’informatico nella vita, ma orami è andata così, è un po’ tardi.
In qualche modo stai facendo l’informatico, quindi li hai accontentati!
La prossima volta mi venderò per tale!
Qual è stato il primo artista o la prima canzone che ti sei messo a studiare sulla chitarra?
“Hey Jude!” dei Beatles, imparata da solo per caso. Non ho mai studiato niente, perché la voglia di studiare era poca! Ero piccolo e un pomeriggio trotterellavo per casa. C’era la chitarra classica di mio padre ed io toccavo le corde, poi, ad un certo punto, l’ho presa e per caso ho messo le dita sulle corde e per caso mi è uscito l’accordo di La maggiore. Da lì, spostando le dita, facendo degli accordi sbagliati di Mi e Re, ho pensato che il suono non fosse male e che assomigliasse a qualcosa. Alla fine è venuto “Hey Jude!” e ho iniziato a suonare “Hey Jude!” in camera dei miei. Poi dopo mio padre, che mi vide fare questa cosa un po’ di nascosto, mi corresse gli accordi e mi spiegò alcune cose. All’inizio ero un po’ imbarazzato. Da lì ho imparato un po’ di accordi. Poi ho sempre suonato ad orecchio sui dischi e questa è stata la mia salvezza assoluta, perché non sono un chitarrista tecnico e so solo andare molto a tempo ed imparare subito, senza aver bisogno di leggere le note.
Hai detto che questo tuo sfogo nell’elettronica, in un modo o nell’altro, c’è sempre stato. Cosa è successo che ti ha fatto fare questo passo in più?
Probabilmente una coincidenza di fattori: l’avere un periodo libero (che non è scontato che ci sia), un’idea sonora di quello che volevo mettere giù e l’avere uno studio. Mi sono seduto in studio e ho iniziato a buttar giù qualcosa senza sapere ed è stato estremamente liberatorio. Venendo da un contesto pop dove ci sono degli schemi molto predefiniti (strofa, ritornello, strofa, ritornello), qui puoi fare quello che vuoi. È da tanto tempo che non mi succedeva: era quasi una decina di anni che non scrivevo più cose mie. Mi sono lasciato prendere un po’ la mano, forse un po’ troppo, quindi adesso ho sconfinato in una serie di paranoie, come quella sul suono di una cassa. Ma in questo periodo della mia vita è molto stimolante.
Hai altri progetti, altri brani, altre bozze?
Ne ho tanti. Non so come usciranno perché l’idea di fare un disco forse non è l’idea giusta: non è un genere che si presta molto alla pubblicazione di un album con dieci tracce. Probabilmente usciranno come è uscito “Lullabies”, ma nei miei live già li suono.
Progetti live?
L’unico confermato è il live del 23 maggio al Mare Culturale Urbano in via Novara a Milano.
Ti prenderai un po’ più di tempo rispetto ai tuoi vecchi impegni lavorativi per questo progetto?
Nei miei sogni, vorrei che questo diventasse il mio lavoro principale. È chiaro che non è per niente facile, soprattutto in un mondo in cui l’elettronica la fa praticamente chiunque e quindi si ha, di fatto, una concorrenza spietata. Continuerò a farlo perché l’aver fatto un passo in più mi sta dando delle soddisfazioni a livello personale più che a livello di pubblico (non mi interessa particolarmente). È più bello il processo, poi l’esito…. Sarò l’ultimo dei romantici ma credo sempre che se si fanno le cose che piacciono con passione, qualcosa da qualche parte succederà. Magari in Cina!
Angelo Peruzzi
Giulia Orsi