Mainstream, pezzi vecchi e baci alla menta – Calcutta all’Alcatraz

Scritto da il 17 Dicembre 2016

Domenica 11 dicembre è andata in scena all’Alcatraz l’ultima data milanese di Calcutta, con un sold out che avrebbe avuto dell’incredibile anche solo poco più di un anno fa, ma che non fa più scalpore da quando il fenomeno “Calcutta” è definitivamente esploso.

Ma facciamo un passo indietro. Per quei pochi che ormai non lo conoscessero, Calcutta, all’anagrafe Edoardo D’Erme, è un ragazzo tranquillo originario di quel “posto tranquillo” che è Latina. A quello e ad altri luoghi, come lo studentato della Sapienza a Spinaceto, era soprattutto legato il primo album “Forse…” (2012), caratterizzato da sonorità più ricercate che strizzano l’occhio a un certo alt pop d’Oltralpe, uscito quasi in sordina e che tuttavia ha permesso al timido ragazzo di Latina di crearsi un seguito nel mondo underground. Questo stesso seguito è rimasto poi in parte deluso da “Mainstream” (2015), che contiene già nel titolo un manifesto delle intenzioni dell’autore. Non è stata solo una scelta ironica, ma un obiettivo ben definito di mettere insieme un album che potesse davvero raggiungere un pubblico il più ampio possibile. Il risultato è un album godibile, un po’ piacione, molto più limato di “Forse…” e dal quale si discosta in molti aspetti – complice l’aiuto di Niccolò (Contessa, de I Cani, ndr) e una riscoperta attitudine da arrangiatore d’altri tempi di Edoardo stesso.

Una scommessa, questa, assolutamente vinta. Il palazzetto nella zona nord di Milano è gremito di fan di vecchia data e dell’ultima ora, in un multiforme intruglio di navigati naviganti della cosiddetta “scena indie” nostrana, dunque consapevoli di tutto ciò che essa ha da proporre, e chi invece si è appena avvicinato a questo mondo, difficile da definire e da delimitare (basti pensare ai prossimi concerti de Lo Stato Sociale o dei Thegiornalisti, che si svolgeranno nella prestigiosa cornice del Mediolanum Forum di Assago, epitome di quanto poco senso abbia parlare di “indie” e “mainstream” nel 2016, quasi 2017).

Il concerto è aperto da Giovanni Truppi, da solo con un pianoforte (un Kimball modificato da lui stesso per l’occorrenza) come aveva fatto da febbraio durante un tour che l’ha portato in giro per l’Italia. È sulle scene dal 2010, ha all’attivo tre album e vanta il supporto di Francesco Motta per tutto il tour del 2015.

È quindi la volta di Calcutta, cappellino e solito aspetto trasandato, acclamato, accompagnato dalla band di sempre. La scaletta è più corposa rispetto a quella del tour estivo, per un concerto durato intorno all’ora e mezza. Dopo il classico inzio con “Limonata”, inizia un viaggio che porta il pubblico piuttosto equamente attraverso entrambi gli album e che include anche pezzi tratti da The Sabaudian Tapes EP (2013).

Il pubblico canta a squarciagola (la spedizione di Radio Bocconi non è da meno, ndr), molti cantano anche le canzoni vecchie, per la cui presentazione Edoardo si scusa a momenti, quasi si sentisse in colpa ad approfittare di questo palcoscenico importante per presentare anche le sue prime fatiche, suonate ai tempi su qualche soppalco non a norma in qualche locale underground della periferia romana, davanti a sì e no 30 persone distratte col drink in mano. Stai tranquillo Edo, non ti devi scusare, i “pezzi vecchi” si meritano di stare davanti al pubblico tanto quanto i conclamati brani di Mainstream.

Dopo una pausa, “in cui noi facciamo che usciamo, voi ci chiamate e noi rientriamo”, inizia la (breve) seconda parte del concerto, quattro brani di “Forse…” – Senza Asciugamano, Arbre Magique, Il Tempo Che Resta (finalmente in scaletta!) e Nudo – seguiti dal pezzone dell’estate, Oroscopo, presentato da un Pierluigi Pardo in gran forma; brano scritto, pare, un paio d’anni fa come dedica alla figlia neonata del caro amico Davide Panizza (sì, quello dei Pop X), ne girava già una versione grezzissima da bootleg con il titolo “Donna favela”, in un video che ritrae Calcutta e Panizza, appunto, alla tastiera, mentre la suonano in un luogo non meglio definito (qui invece potete sentire una versone del 2015 che somiglia già alla stesura definitiva, che vale tutto anche solo per la frase “Quando Rio de Janeiro era in provincia di Pesaro”). Ha lanciato definitivamente Calcutta sul palcoscenico nazionale, superando in termini di views anche la celebre “Cosa mi manchi fare”, brano simbolo di Mainstream. In tutto questo, una scritta fatta di lucine di Natale recante la parola “Baci” viene illuminata dietro ai musicisti sul palco, rendendo il tutto molto tumblr (tant’è che quasi tutti i presenti immortalano il momento per Instagram).

La sezione encore, infine, vede Calcutta suonare in solitaria “Natalios”, che come si può evincere facilmente dal titolo, è una sorta di delicato inno del disagiato sotto Natale: “Io non voglio andare in giro da solo/È la notte di Natale anche per me”; Edoardo si scusa ex-ante per le stecche che farà durante il brano, stecca prontamente gran parte della prima strofa e si riprende egregiamente durante il ritornello, quindi tutto sommato lo perdoniamo. L’ultimissimo brano è una versione solista ed acustica di “Cosa mi manchi a fare”, già proposta sempre in chiusura di concerto durante il tour estivo, rallentata e cantata ancora più convintamente dal pubblico.

In definitiva, un ottimo concerto che ha saputo sedurre i fan di sempre, esaltare coloro che lo vedevano per la prima volta e convincere, probabilmente, anche gli ultimi scettici.

 

A cura di Luca Stanus Ghib

 


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