UN JAZZMI FUORI DAGLI SCHEMI: SEASHELL GROUP & MELISSA LAVEAUX

Scritto da il 8 Novembre 2019

Ed è proprio quando ti aspetti di andare ad un concerto e di trovare il solito palco allestito con batteria, tastiere e strumenti a corde che ti trovi davanti un tavolo pieno di conchiglie dell’oceano Atlantico, theremin, loop station e dozzine di altri piccoli strumenti di cui non conosci neanche l’esistenza. Ah già, c’erano anche delle pistole laser a giocattolo. È andata proprio così la sera dello scorso 6 novembre al Teatro della Triennale di Milano, in occasione di uno dei numerosi eventi del JazzMi. Mauro Ottolini, con il suo spettacolo intitolato Seashell, ha lasciato il pubblico milanese senza fiato a suon di gusci di ogni forma e dimensione. Vedere per credere. Si, perché per apprezzare al meglio i suoi brani non basta metterli in riproduzione, è necessario guardare con quanta energia, quanto fiato e soprattutto quanta tecnica riempie i gusci con le sue mani per ottenere suoni pulitissimi e perfettamente armonizzati con il resto dell’ensemble.

I primi brani della performance hanno richiamato diversi generi musicali, dall’hip-hop, al rock, fino a qualche accenno di musica hawaiana. Non stiamo esagerando, fidatevi, siamo rimasti attoniti per tutta la durata dello spettacolo ascoltando la duttilità di questi strumenti improbabili. I due musicisti a supporto del maestro Ottolini per questo spettacolo sono stati Enrico Terragnolo alla chitarra elettrica e synth e Vincenzo Vasi alle percussioni e tutto il resto. Una combo unica, capace di amalgamarsi in una groviglio di suoni che sembravano parlare lingue diverse, ma comprendersi perfettamente l’un l’altro. Il loro spettacolo, nonché il loro album, sono progetti interamente eco-friendly, riguardano il tema dell’inquinamento derivante da plastica e il packaging è totalmente riciclabile. Alcuni titoli che figurano nell’album sono Deep water orizon, Black tire e Plastic Island.Quest’ultimo è ispirato alla visione di un’isola di plastica sulla quale, idealmente, tutti ci ritroveremo a vivere, forse non troppo idealmente. Il maestro Ottolini si augura per lo meno che sia fatta bene e venga ben tenuta dai suoi abitanti, sperando di trovarci almeno qualche conchiglia da suonare.

 

The Seashell Group lascia così il palco a Melissa Laveaux, voce e chitarra, accompagnata da basso e batteria. La cantautrice canadese, di origini haitiane, cambia drasticamente l’atmosfera della serata, introducendo sonorità e vibrazioni distanti da quelle ascoltate fino ad un attimo prima, ma altrettanto interessanti. La sua musica ci fa viaggiare fino ad Haiti, raccontandoci delle sue origini e della sua gente.

I brani in scaletta, ci racconta Melissa, sono una rivisitazione di canzoni popolari haitiane degli anni ’20 del Novecento, periodo in cui l’isola fu invasa dalle truppe statunitensi. Sono canzoni di protesta, che raccontano la storia di un popolo oppresso che agognava alla libertà. Bisognava però stare attenti alla censura, e per non finire in prigione bisognava scrivere “canzoni intelligenti” che ad un primo ascolto sembrano parlare di tutt’altro. È questa l’introduzione alla canzone “Angelina”, che racconta di una moglie che non sa cucinare e non sa occuparsi delle faccende domestiche, e viene per questo cacciata dal marito e invitata ad “andare a sedersi a casa di sua madre”. Un po’ imbarazzata, Melissa si giustifica: “Erano gli anni ’20, per questo la canzone è misogina. In realtà, era un educato invito per gli americani a disoccupare Haiti”.

Il raccolto della cultura haitiana non poteva trascurare uno degli aspetti più importanti della storia dell’umanità: la religione. A questo proposito la cantautrice ci racconta che, durante l’occupazione, gli invasori proibivano il culto voodoo, e per questo motivo gli indigeni erano costretti a nascondere il loro credo. Nascondere però è ben diverso dall’eliminare, e infatti gli haitiani avevano composto canzoni di richieste di liberazione al dio Nibo, “un guerriero ubriaco e ribelle, il dio delle rivolte e delle feste”. Nella narrativa della religione haitiana Melissa decide di fare un tributo a Nina Simone reinterpretando un suo brano: “Sono fermamente convinta del fatto che Nina fosse una strega, che lanciava incantesimi e suonava”.

La veste esotica, gli occhioni espressivi e la voce accattivante e piena di mistero di Melissa conquista il pubblico della Triennale. Con l’innocenza di una bambina durante i suoi racconti tra un brano e l’altro ma tutta la grinta, la rabbia e la passione che emerge nella performance, questo trio inusuale riesce a farci immergere in un mondo e una storia lontana, che per un attimo sentiamo come nostra.

 

 

Raffaella Dimastrochicco

Federico Lapolla


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