DARDUST, SLOW IS THE NEW LOUD

Scritto da il 16 Dicembre 2017

“Slow” vuol dire andare piano, riflettere ad ogni passo, ogni nota, vuol dire non lasciare nulla al caso e alla fretta. “Slow” è la prima delle due anime di Dario Faini, quella molto più legata al suo strumento, il pianoforte. “Slow” è emozione, passione, brivido, tensione. La metà iniziale del live di ieri al Santeria Social Club di Milano è stata un concentrato di sentimenti sinceri, intensi, suscitati dalle note giuste al momento giusto.

Il maestro Faini, nel far ondeggiare le sue dita sulle sue tastiere, sembrava stesse tessendo qualcosa di pregiato, sembrava fosse all’opera di un qualche mestiere che necessita l’attenzione più minuziosa e la cura più appassionata. A tratti ci si poteva perdere nella sua esibizione, non ci si incantava con lo sguardo, ci si incantava in uno sguardo, il suo.

Genere innovativo e inaspettati i suoi strumenti sul palco. Al trio classico di pianoforte, violino e contrabbasso, si aggiungono due percussionisti leggermente distanti dalla tradizione con tamburi, piatti e campionatori elettronici e per concludere un microfono rivolto verso Dario “Dust”. Egli sorprendentemente canta, di sorpresa semplicemente perché nelle sue canzoni non è possibile ascoltare la sua voce e non per mettere in dubbio le sue doti canore. Con qualche strumento digitale di recente fattura il maestro inserisce la sua voce all’interno dei brani, facendo sentire al pubblico un ensamble di voci femminili e apparentemente lontane. “A Morgun” è il brano che più si addice per ascoltare questa tecnica innovativa ed estremamente d’effetto. Un arpeggio sequenziale in sestine, arricchito da archi e dalle suddette voci, inizia creando un’atmosfera malinconica ma allo stesso tempo di forte tensione. L’emozione cresce con le note rapidissime dei violini, lasciati per un attimo in solitudine, perfettamente sovrapponibili alla scena più intensa e struggente di un film drammatico.

Tornando alle voci e al tema iniziale del pianoforte il pezzo si chiude con una naturalezza disarmante. Il tutto accompagnato da immagini stupefacenti che meglio non avrebbero potuto addirsi a questo e agli altri brani. Sentieri alberati con tappeti rossi di foglie, incontri, abbracci, cieli stellati e time lapse di albe e tramonti visti da qualche navicella persa nello spazio. La copertina dell’album è proprio il volto di un astronauta che indossa la sua tuta. Sarà forse che lì su è tutto più lento, senza gravità, senza troppi impegni, senza spazi affollati, senza messaggi e telefonate continue; sarà che da lì su forse vien voglia di rallentare, guardare il mondo e pensare a tutto ciò che accade.

Per Dardust, però, “Slow is the new loud” prima di tutto il resto. Ed è proprio nella seconda parte della performance che il maestro scopre il suo Mr Hyde. I tre strumenti classici vengono infatti abbandonati dai musicisti per far spazio a tre rullanti indossabili e per far emergere tutta la grinta e la rabbia dei brani successivi. L’atmosfera cambia totalmente, le luci iniziano a lampeggiare molto più rapide, i percussionisti battono sempre più forte e Dario allontana lo sgabello per suonare in piedi a gambe divaricate. Tutto d’un tratto i tre si posizionano sul ciglio del palco, appena sopra i propri fan. Inossando i tre rullanti eseguono i loro brani in sincronia assoluta trasformando la sala in un agglomerato di ritmo ed energia. Tra la folla c’è chi ha seguito il beat col proprio battito di mani e chi si è lasciato andare alla danza più sfrenata. “Bardaginn” è stata proposta risaltando proprio il “new loud” che vi è in essa, eseguendo live esclusivamente la parte ritmica e lasciando alla base il resto. Anche in questo caso ad alimentare l’adrenalina del momento sono servite le immagini proiettate alle spalle degli artisti. Una serie infinita di gente perfettamente allineata e in riga, a tratti in bianco e nero e a tratti colorata in diverse sfumature di rosso, marcia a ritmo di musica senza fermarsi. Per i più nostalgici può essere stato un richiamo ai martelli animati della Disney realizzati per la proiezione di “The Wall”. Sicuramente l’allusione al conformismo non si addice al progetto di Dardust ma l’energia comunicata ha facilitato indubbiamente l’accostamento.

A coronare il concerto i due ospiti, Levante e Maurizio Carucci (Ex-otago), hanno concesso al pubblico una breve esibizione e un velocissimo saluto.

Un genere nuovo, in Italia, un progetto ambizioso, un concerto da brividi e di altissimo livello, questo è Dardust ed è stato un vero onore essere presenti lì ad ascoltarlo. Dario ha salutato il pubblico con un arrivederci, poiché manca l’ultima parte della sua trilogia e noi non possiamo far altro che attendere le prossime date con tanta curiosità.

Federico Lapolla


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