Scalare la montagna

Scritto da il 29 Maggio 2018

La parola in questione è “GOAT”, e non sta per la traduzione inglese di “capra”, bensì per l’acronimo Greatest Of All Time (il più grande di tutti i tempi), titolo onorario assolutamente soggettivo che resta, almeno finché qualche facoltosa accademia non se ne appropri, patrocinio del singolo commentatore.

Il rap, nelle sue microstrutture e nei suoi tratti distintivi, è il genere musicale più simile allo sport e, soprattutto nei vari forum americani, la dialettica utilizzata nel commento day by day della scena è estremamente simile a quello usato nelle discussioni sportive.

Il rap è sport di squadra, essendo il genere dove le collaborazioni tra artisti tracciano la mappa sociopolitica dell’atlante hip hop, ma è anche sport di combattimento frontale: è la musica dove il concetto di “confronto” è il pavimento su cui i rapporti tra gli attori evolve giornalmente.

Gli adepti alla Nuova Musica del Diavolo vivono, seguono, somatizzano le vicende del cosiddetto “rap game” come se fossero competizioni sportive, e questo plasma il modo di intendere i cantanti come atleti..
Kendrick Lamar oggi è nella posizione di un LeBron James, di un Tom Brady, di un Roger Federer.

A 30 anni, l’artista di Compton è già una delle personalità più influenti della storia dell’hip hop music, al pari di Tupac Shakur, Eminem, Kanye West e altre leggende, ed è già in grado di sostenere con ragione il proprio primato storico.

Kendrick è la massima espressione (in termini di presa sull’immaginario collettivo, imponenza nel mercato discografico, regolarità con cui sforna bestseller) del rap oggi, e la sua egemonia capita nel momento storico in cui la black culture esercita la sua massima influenza a livello sociologico.

I trend dell’abbigliamento, della musica, delle produzioni cinematografiche strizzano più che mai l’occhio all’estetica e al lifestyle afroamericano, e la predominanza di Kendrick Lamar sul genere black per antonomasia si riflette su tutto il globo, amplificando la sua voce fino a raggiungere posti dove, fino a poco tempo fa, il rap è sempre stato considerato affare di altri.

Cartina al tornasole di questo processo è stato il riconoscimento del Premio Pulitzer nella categoria musicale assegnato proprio a Lamar. Si tratta non solo del primo premio assegnato a un artista rap, bensì del primo assegnato a un autore di musica leggera dall’istituzione del premio ad oggi.

Una situazione facilmente intellegibile: un’istituzione estremamente elitaria, che per mezzo secolo ha “ignorato le principali menti musicali dell’epoca in favore della musica d’accademia” (John Adams, 2003) si rassegna di fronte all’inevitabile e indiscutibile ruolo della musica di massa nel progresso culturale della società.

Dopo tanti album di grande successo, ultimo di questi il celebratissimo DAMN., Kendrick Lamar è stato molto bravo a elevarsi progressivamente come comunicatore dalla società per la società, senza mai estraniarsi dal contesto di riferimento a cui appartiene.

E’ difficile sostenere una tesi ben precisa riguardo a chi apparterrebbe lo scettro di GOAT, ma è altrettanto fazioso fare paragoni escludendo dalla discussione la rilevanza effettiva sulla società con cui si sono confrontati.

Probabilmente questa spasmodica necessità di trovare il primo di tutti non porterà mai a un risultato oggettivo, ma forse è proprio la prospettiva con cui guardiamo le cose ad essere fuorviante.
La corsa alla leggenda non è una prova di forza, uno contro uno, ma un percorso solitario, estenuante, una montagna da scalare.
Nessuno sa con certezza se Kendrick Lamar sia il più grande di tutti i tempi, ma in pochi sarebbero disposti a negare che più in alto di lui nessuno sia mai arrivato.


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